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CS: a frenare aumento salari è bassa inflazione e non immigrazione

Inflazione frena salari KEYSTONE/CHRISTIAN BEUTLER sda-ats

(Keystone-ATS) Dalla crisi finanziaria gli aumenti salariali in Svizzera risultano nettamente più modesti che in precedenza.

Secondo uno studio del Credit Suisse la “colpa” non è – come spesso ritenuto – dell’immigrazione, del trasferimento di impieghi all’estero o della digitalizzazione, quanto della bassa inflazione e del ritegno dei lavoratori nella richiesta di un aumento.

Le statistiche sembrano dare ragione all’esperienza generale e all’istinto: dal 2009 le remunerazioni nominali sono cresciute di meno dell’1% annuo, molto meno che prima. Nel 2017 l’incremento è stato perfino il secondo più debole (dopo il 1999) dall’inizio dei rilevamenti statistici nel 1943.

Secondo l’economista del Credit Suisse Claude Maurer sembra lampante che immigrazione, delocalizzazione e digitalizzazione facciano pressione sugli stipendi, “ma è dubbio se tali fattori spieghino effettivamente la debole crescita dei salari in Svizzera”.

Dubbio perché per tutte le presunte motivazioni vi sono anche studi o argomenti che sostengono il contrario, ha affermato oggi in una conferenza stampa a Zurigo. In materia di immigrazione Maurer cita ad esempio un rapporto della Confederazione che non constata alcuna pressione generale sulle retribuzioni. La tendenza verso aumenti salariali più contenuti viene inoltre osservata anche nell’Unione europea e negli Stati Uniti.

Quanto alla digitalizzazione, l’esperto mette un punto interrogativo, perché uno studio di lunga durata ha dimostrato che il progresso tecnico in Svizzera ha sempre condotto alla creazione di posti di lavoro meglio remunerati. Un effetto paragonabile proviene dal trasferimento di impieghi all’estero.

Se questi tre fattori vengono esclusi, per Maurer la sola motivazione che rimane è l’inflazione. “Riteniamo che la ragione principale della debole crescita salariale in Svizzera siano le prospettive inerenti al rincaro, scese ulteriormente”. Grazie a tali attese non si giunge infatti alla cosiddetta “spirale prezzi-salari”, ossia alla situazione in cui le aziende sono obbligate ad adeguare le retribuzioni a causa della progressione dei prezzi.

Un altro motivo principale è, secondo l’esperto, la modestia dei lavoratori elvetici: “in Svizzera regna il ritegno in materia di politica salariale”. I lavoratori sfruttano poco il margine di manovra di cui dispongono in occasione delle trattative.

Per Maurer vi sono svariate ragioni: da un lato il potere d’acquisto è aumentato con il rafforzamento del franco. In effetti lo stipendio reale medio in Svizzera è tornato a salire dal 2009, dopo una fase di stagnazione negli anni Novanta e all’inizio del nuovo Millennio. Al contempo la sicurezza dell’impiego e la piena occupazione paiono più rilevanti per i lavoratori elvetici che incrementi più consistenti in busta paga. “Il ritegno nelle richieste inerenti allo stipendio ha il vantaggio che in Svizzera in tempi difficili non vi sono tagli salariali”, sostiene Maurer.

Alla fin fine, secondo l’esperto, per i lavoratori i conti tornano: in Svizzera la quota della remunerazione rispetto alla prestazione economica complessiva si situa al livello record mondiale del 65%. Negli Stati Uniti, in Germania e in Italia, ad esempio, risultano molto più elevati – con quote comprese tra il 44 e il 48% – redditi non professionali quali capitali o locazioni.

Bisogna però tenere conto del fatto che in Svizzera negli ultimi anni l’occupazione è sensibilmente aumentata. Poiché una quota maggiore di persone rispetto al passato svolge una professione, la remunerazione complessiva e quella pro capite sono cresciute. Quindi gli svizzeri ora guadagnano di più perché lavorano di più e non perché dispongono di salari più elevati, ha concluso Maurer.

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