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Gb pronta alla Brexit, Scozia invoca la secessione

Il Regno Unito di Theresa May è pronto alla Brexit, ma la Scozia di Nicola Sturgeon non ci sta e invoca la secessione (foto d'archivio). KEYSTONE/EPA PA IMAGES/ANDREW MILLIGAN sda-ats

(Keystone-ATS) La Gran Bretagna è pronta a imboccare la strada dell’uscita dall’Ue, ma la Scozia non ci sta e si aggrappa all’idea di poter uscire semmai dal Regno ipotizzando un referendum bis sulla secessione fra il 2018 e il 2019.

La premier britannica Theresa May ha chiuso stasera la sua partita a Westminster, dopo un mesetto di dibattito e di ping pong fra Camera Bassa e Camera Alta che in sostanza non ha cambiato nulla. E porta a casa una legge – ripristinata dalla maggioranza ai Comuni nel testo gradito all’esecutivo, con l’abrogazione degli emendamenti dei Lord sulle garanzie a priori dei diritti dei cittadini Ue e su una sorta di diritto di veto del parlamento sull’esito del negoziato – che le permette d’avviare senza vincoli di sorta il percorso formale per l’addio al club dai 28 entro due anni (salvo proroghe).

Il negoziato potrebbe scattare già domani, con la notifica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona. O magari slittare all’ultima settimana di marzo, stando ai media. In ogni caso nel rispetto della scadenza di fine mese.

Senonché, a rubare la scena a Theresa May ci ha pensato Nicola Sturgeon, sua nemesi scozzese. La first minister di Edimburgo, leader dei nazionalisti dell’Snp, ha rilanciato la battaglia per l’indipendenza, dopo il referendum perduto – di misura, ma neppure troppo – nel settembre 2014. Si è presentata alle telecamere per annunciare l’inizio la settimana prossima, di fronte all’assemblea parlamentare scozzese, dell’iter di un nuovo voto popolare. “Le condizioni sono mutate” rispetto al 2014 a causa della Brexit, ha tuonato. Per Sturgeon, Londra ha eretto “un muro d’intransigenza” di fronte a cui “non è possibile far altro” che riaccendere il fronte referendario: l’obiettivo è tornare alle urne “fra l’autunno del 2018 e la primavera del 2019”.

Il problema per la Scozia è tuttavia d’ordine normativo. Un altro referendum richiede infatti il placet del parlamento di Westminster, a cui spetta l’ultima parola e al quale la leader dell’Snp (partito rimasto finora scrupolosamente entro i limiti della legalità costituzionale) ha ammesso di doversi rivolgere. E a Londra la risposta stavolta è no. Il governo britannico lo ha ribadito: un nuovo referendum sarebbe “divisivo” e produrrebbe ora “enorme incertezza economica” per tutta la Gran Bretagna, ha tagliato corto una portavoce.

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