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GB spaccata al voto, la Brexit fa tremare l’Europa

I giochi sono chiusi, il futuro dell'Europa è ora affidato agli umori e ai malumori dei britannici (foto d'archivio). Keystone/EPA/HANNAH MCKAY sda-ats

(Keystone-ATS) I giochi sono chiusi, il futuro dell’Europa è ora affidato agli umori e ai malumori dei britannici. Sono 46,5 milioni gli elettori chiamati domani a rispondere ‘Leave’ o ‘Remain’ al referendum sull’Unione europea.

Dentro o fuori, tertium non datur, come ha avvertito in queste ore il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker.

Le ultime cartucce di una campagna elettorale al veleno, più emotiva che ragionata, sono state sparate oggi. In primo luogo dai due dioscuri-rivali dei Tory: il premier David Cameron, ‘campione’ di Remain, e l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, l’uomo bandiera dei Leave sui media, ma anche il pretendente ombra alla poltrona di Downing Street.

Cameron, colui che a questo referendum ha aperto le porte per calcoli di politica interna, ha rivolto i suoi appelli finali in una raffica di interviste sui giornali, ma anche fra la gente nel suo collegio elettorale nell’Oxfordshire e fra i giovani di una scuola, la generazione che potrebbe avere più da perdere dal taglio netto: la Gran Bretagna – ha insistito come in un mantra – è e sarà “più prospera, più forte e più sicura” se resta “in un’Unione Europea riformata”. Ma lui è pronto ad “accettare le istruzioni del popolo”, ha aggiunto.

Lontano politicamente mille miglia, ma sulla stessa barca di Remain, anche il leader radicale del Labour, Jeremy Corbyn, si è fatto sentire oggi. Per dire no alla Brexit a modo suo: “Votiamo Remain per difendere i posti di lavoro e i diritti dei lavoratori”, ha detto, per poi “cambiare l’Europa da dentro”.

Il tentativo delle ultime ore dei filo-Ue è stato quello di inchiodare i rivali di Leave – concentrati nelle ultime settimane a cavalcare un dossier ad alto tasso di populismo come quello del contenimento dell’immigrazione – alla piattaforma “estremista” di Nigel Farage: il tribuno dell’Ukip, che del divorzio da Bruxelles ha fatto una ragione di vita e che stasera (incoraggiato da alcuni degli ultimi sondaggi che indicano un testa a testa, ma con un leggero vantaggio per Leave), afferma di sentire “profumo di vittoria”.

I conservatori euroscettici guidati da Johnson e dal ministro della Giustizia Michael Gove hanno provato al contrario a prendere le distanze dallo scomodo compagno di viaggio e, almeno negli ultimi giorni, ad abbassare un po’ i toni: specialmente dopo l’uccisione di Jo Cox, la deputata laburista paladina dei migranti e dell’integrazione europea che proprio stasera, nel giorno in cui avrebbe dovuto compiere 42 anni, è stata commemorata a Trafalgar square, nello Yorkshire e in varie città del mondo in un clima di commosso omaggio alla sua figura e alle sue idee.

Oggi Johnson, scendendo dal bus a bordo del quale ha fatto campagna in giro per il regno, ha negato ancora una volta di aver strizzato l’occhio agli slogan dell’Ukip, men che meno di aver alimentato un clima “di odio” nel Paese, come gli ha rinfacciato ieri in un ultimo dibattito tv alla Bbc il suo successore sullo scranno di cittadino di Londra, Sadiq Khan, laburista e figlio d’immigrati.

“Non è vero, io faccio leva sull’ottimismo riguardo al futuro della Gran Bretagna e della sua gente”, ha ribadito stasera il biondo ex sindaco: uscire dall’Ue significa solo “riprendere il controllo dei nostri commerci, dell’immigrazione e della nostra democrazia”. Ma alla fine non ha mancato di adottare la medesima parola d’ordine di Farage, invocando per domani il sogno di un “Independence Day” del Regno Unito (“assurdità”, ha replicato Cameron).

I numeri-simbolo degli schieramenti opposti restano intanto due: per Remain le 4300 sterline all’anno che ogni famiglia britannica perderebbe per le conseguenze di un’eventuale Brexit; per Leave i 350 milioni di sterline che la Gran Bretagna risparmierebbe alla settimana. Due cifre entrambe discutibili: la prima perché puramente ipotetica, la seconda perché calcolata senza troppi scrupoli al netto degli enormi profitti che l’isola ricava dall’appartenenza al club dei 28.

Profitti di cui si mostra consapevole se non altro una parte significativa del mondo degli affari del regno, come conferma l’appello in extremis pubblicato sul Times da 1285 top manager di altrettante aziende britanniche (1,75 milioni di lavoratori in totale) secondo i quali restare nell’Unione “è buono per il business, è buono per l’occupazione, è buono per il Paese”.

Convinzione condivisa fino all’ultimo dai responsabili di istituzioni finanziarie e governi occidentali, autori di una lettera aperta ai britannici sul Guardian. Domani il meteo prevede tempo di bufera, almeno a Londra. Poi tornerà a splendere il sole, ma non è chiaro su chi.

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