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Iran: vincono riformisti di Rohani, record di donne

Un seggio elettorale /AP/STR sda-ats

(Keystone-ATS) I riformisti sostenitori della linea di apertura all’Occidente del presidente Hassan Rohani hanno vinto anche al secondo turno delle elezioni parlamentari in Iran.

Potranno contare su una maggioranza relativamente sicura tra i 290 deputati del Majlis (il parlamento iraniano).

Erano in gioco 68 seggi in 21 province dove, nel voto nazionale del 26 febbraio scorso, nessun candidato aveva raggiunto il quorun minimo. Ieri le urne si sono riaperte nelle campagne, nelle piccole cittadine, in un territorio tradizionalmente controllato dai mullah e dai fondamentalisti, considerato arretrato rispetto alla “liberal” Teheran.

Il 59% dei diciassette milioni di elettori – secondo dati del Ministero degli Interni – è invece andato a votare, in un’affluenza record per gli standard dei ballottaggi, ed ha scelto la “lista della Speranza” pro-Rohani, in maniera ancor più decisa che nel primo turno.

Gli ultra-conservatori, contrari all’accordo sul nucleare e legati alla Guida Suprema Ali Khamanei, sono usciti malconci dai ballottaggi della periferia della Repubblica islamica. I riformisti, alleati con i moderati, hanno conquistato dai 29 ai 34 seggi, i fondamentalisti-conservatori sono riusciti a mandare nell’Assemblea legislativa dai 17 ai 21 deputati, il resto delle poltrone parlamentari sarà diviso tra gli indipendenti.

Anche se l’avanzata dei sostenitori del presidente appare netta, i numeri sulle dimensioni della vittoria variano a seconda di chi li legge. Ciò è dovuto non solo all’incognita degli indipendenti, che saranno più di un’ottantina nel prossimo Majlis e che vengono assimilati ora ad uno e ora ad un altro schieramento. Ma anche alla fluidità della politica iraniana e ai cambi di casacca dell’ultimo momento: ci sono stati quattro candidati fondamentalisti del primo turno passati alla lista riformista nel ballottaggio, dove si sono scontrati con avversari ancora più fondamentalisti di loro. E persino deputati che, nel voto del 26 febbraio, hanno corso sia per la lista dei riformisti che per quella dei fondamentalisti, cosa possibile e legale in Iran.

Dunque, nel prossimo Majlis, il decimo dalla Rivoluzione islamica del 1979, la “lista della speranza” pro-Rohani potrà contare su 120-130 deputati; i fedelissimi della Guida Suprema, che prima detenevano la maggioranza assoluta, si dovranno accontentare di 84-90 deputati. Un dato appare però certo: il record di presenze femminili nel nuovo Parlamento.

Con le quattro donne elette nel secondo turno, le deputate saranno 18, un numero ancora esiguo – come nota il giornale Ebtekar – e tuttavia mai raggiunto, prima d’ora, nella Repubblica degli ayatollah. Chi è ancora in sospeso, in una vicenda dai sapori kafkiani, è Minou Khaleghi, candidata riformista vincitrice al primo turno a Isfahan lo scorso 26 febbraio.

Dopo la sua elezione, erano circolate foto che la ritraevano all’estero mentre stringeva la mano a uomini. Un atteggiamento giudicato dal “Consiglio dei Guardiani” – l’organismo giuridico-religioso incaricato di controllare il Parlamento e di selezionare gli aspiranti deputati – non conforme alle leggi islamiche: tanto che Khalegi non è stata autorizzata, per il momento, a entrare nel nuovo Majlis, nonostante il consenso popolare ottenuto.

I “Guardiani della Rivoluzione”, giuristi e religiosi nominati dalla Guida Suprema, appaiono irremovibili. In difesa dell’aspirante deputata è sceso il presidente Rohani. La vicenda della donna rivela, se ce ne fosse ancora il bisogno, quanto sia profondo lo scontro tra chi vuole mantenere la Repubblica islamica inchiodata ai valori del passato e chi invece sogna di traghettare l’Iran verso un futuro diverso.

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