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Purghe e guerra totale, Erdogan ha perso controllo

Il presidente turci Recep Tayyip Erdogan KEYSTONE/AP Pool Presidential Press Service/YASIN BULBUL sda-ats

(Keystone-ATS) Dopo la strage di Capodanno a Istanbul, si sono fatti i conti: in poco meno di 6 mesi sotto lo stato d’emergenza post-golpe, che permette arresti ‘facili’ e riduce le garanzie costituzionali, la Turchia ha vissuto uno dei periodi più sanguinosi degli ultimi decenni.

Oltre 200 morti e quasi 800 feriti in almeno 13 attacchi terroristici di grossa portata, attribuiti a gruppi curdi o jihadisti. Nonostante più di 40mila sospetti golpisti arrestati, la decapitazione del movimento curdo, con leader e deputati eletti mandati in galera, almeno 177 media chiusi e 144 giornalisti arrestati per presunti legami con il terrorismo, e un potere sempre più concentrato nelle sue mani, il presidente Recep Tayyip Erdogan sembra aver perso il controllo della Turchia.

Prima dell’assalto di oggi al tribunale di Smirne, una raffica di attentati nell’ultimo mese, con quasi 90 morti in pieno centro a Istanbul, l’ambasciatore russo ucciso nella capitale Ankara e un’intelligence che non riesce a prevenire gli attacchi, né a trovarne i colpevoli.

All’origine del caos in cui è sprofondata la Turchia, concordano gli analisti, ci sono le purghe di massa, che hanno privato forze di sicurezza e 007 di molti dei loro uomini migliori. Un processo accelerato drammaticamente con le epurazioni dopo il fallito colpo di stato, ma già avviato dalla Tangentopoli del Bosforo del dicembre 2013, con la rottura tra Erdogan e l’ex alleato Fethullah Gulen.

Nelle pubbliche amministrazioni, come in polizia e magistratura, i quadri che avevano fatto carriera negli anni d’oro di Erdogan si erano formati alla scuola dell’imam in auto-esilio in Pennsylvania. Nelle purghe, sono stati arrestati almeno 6.325 militari, tra cui 168 generali e ammiragli, oltre a 7.624 poliziotti e 2.286 magistrati.

Cacciati loro, e le presunte minacce eversive, gli ambienti governativi si sono ritrovati senza sostituti adeguati, almeno per le posizioni chiave. Un clamoroso buco di cui hanno subito cercato di approfittare i tanti nemici contro cui Erdogan ha lanciato la sua ‘guerra totale’.

A partire dai ribelli curdi, che con sigle e strategie diverse hanno perseguito lo stesso obiettivo: colpire lo Stato, per non esserne colpiti. Ankara ha promesso di non fermarsi fino all’annientamento dell’ultimo terrorista, ma il pesantissimo bilancio delle operazioni militari nel sud-est – circa 850 agenti e soldati uccisi dall’estate 2015 – ha ulteriormente depresso la struttura di sicurezza. Che ora deve fare i conti con la nuova minaccia diretta dell’Isis, cui potrebbero aggiungersi altri gruppi ‘abbandonati’ lungo la strada da Erdogan, come i qaedisti di al Nusra in Siria.

“La Turchia è sotto attacco contemporaneo di diversi gruppi terroristici e vogliono metterla in ginocchio”, ammette il presidente, chiamando a raccolta i suoi e invocando l’unità. Ma a difendere un Paese che brucia, è rimasta una colonna di agenti con poca esperienza e tanti nemici.

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