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Siria: tregua armata fra la Turchia e i curdi

Unità dell'esercito turco KEYSTONE/EPA/SEDAT SUNA sda-ats

(Keystone-ATS) Un temporaneo quanto precario cessate il fuoco è stato raggiunto oggi tra le forze turche e le milizie curde nel nord della Siria, dove l’intervento di Ankara degli ultimi giorni ha ulteriormente complicato la già confusa situazione del conflitto civile.

Al punto che anche il presidente francese, François Hollande, ha unito la propria voce a quella degli Usa per criticare allo stesso tempo la Turchia e la Russia e avvertire che la Siria corre il rischio di “un incendio totale”.

“Nelle ultime ore abbiamo ricevuto l’assicurazione che tutte le parti implicate smetteranno di spararsi addosso e si concentreranno sulla minaccia dell’Isis”, ha detto il colonnello John Thomas, portavoce del Centcom, il Comando militare Usa in Medio Oriente, riferendosi appunto a turchi e curdi, entrambi alleati di Washington nella guerra al ‘Califfato’.

Le forze dell’Esercito siriano libero (Esl) appoggiate da Ankara, che partendo dalla città di Jarablus strappata all’Isis erano arrivate a una decina di chilometri a nord di Manbij, sotto il controllo curdo, hanno quindi ricevuto l’ordine di fermarsi. La loro offensiva dovrebbe ora rivolgersi a ovest, verso Al Bab, un altro importante centro ancora nelle mani dello Stato islamico.

Le milizie curde dell’Ypg, che la Turchia considera “terroriste”, non godono soltanto del sostegno dell’aviazione e dei reparti speciali inviati da Washington, ma anche di volontari americani. Tre di loro, secondo quanto reso noto oggi dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), sono rimasti uccisi nei combattimenti contro l’Isis.

L’ong cita fonti secondo le quali i funerali dei tre, identificati come Jordan Andrew, Will Savage e Levi Jonasn, sono stati tenuti al valico di Simalka, tra la provincia siriana di Al Hasaka e l’Iraq. Un altro americano, un australiano e un britannico arruolati nelle file curde erano morti l’anno scorso.

Prima dell’annuncio del cessate il fuoco, c’era ancora stato lo spazio per qualche polemica tra la Turchia e gli Usa. “Gli americani dovrebbero rivedere la loro politica di ‘sostegno a ogni costo’ del Ypg e rendersi conto del danno che il loro sostegno sta causando all’armonia sociale ed etnica della Siria”, aveva scritto in un articolo il portavoce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Ibrahim Kalin. Mentre Shervan Darwish, un portavoce delle cosiddette Forze democratiche siriane (Sdf), di cui le milizie curde sono la forza dominante, ha affermato che gli scontri tra i ribelli sostenuti da Ankara e l’Ypg ha favorito l’Isis nel rilancio dei suoi attacchi contro villaggi a sud e ovest di Manbij.

Anche oggi vi sono stati nell’area combattimenti con l’Isis, in cui i curdi hanno ricevuto l’appoggio di raid aerei della Coalizione internazionale a guida Usa. Da parte sua, Hollande ha denunciato quelli che ha definito gli “interventi multipli, contraddittori” di Russia e Turchia, sottolineando che “l’urgenza assoluta è lo stop ai combattimenti e il ritorno ai negoziati”. Il presidente francese ha aggiunto che inviterà il suo omologo russo Vladimir Putin a Parigi il prossimo ottobre per discutere del conflitto, e ha affermato che Mosca deve essere “un protagonista dei negoziati, non dell’azione”.

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