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USA: scontro col Messico sul muro, Pena Nieto non va da Trump

Donald Trump. Keystone/AP/MATT ROURKE sda-ats

(Keystone-ATS) Il presidente messicano Enrique Pena Nieto annulla l’incontro di martedì prossimo alla Casa Bianca. È la prima crisi diplomatica per Donald Trump.

Il magante è investito da una bufera per il suo ordine di costruire immediatamente un muro al confine col Messico e di dare un giro di vite all’immigrazione clandestina, condito con l’ennesimo apprezzamento per il waterboarding.

Una stretta che sarà completata con lo stop indeterminato ai rifugiati siriani e per almeno 120 giorni a quelli di altri Paesi, con la sospensione inoltre per almeno un mese dell’immigrazione da Paesi a maggioranza musulmana e spesso flagellati dal terrorismo, come Libia, Siria, Somalia, Sudan, Iran, Iraq, Yemen.

La prima conseguenza è la rottura con il presidente messicano, in un duello tutto a colpi di tweet, diventato con il tycoon la nuova arena della diplomazia. Incalzato anche dall’opposizione, Enrique Pena Nieto ha annullato la sua visita dopo che Trump lo aveva ammonito a non venire “se il Messico non è disposto a pagare per il muro di cui c’è disperato bisogno”.

Un muro che costerà 12-15 miliardi di dollari, ha annunciato il presidente della Camera dei rappresentanti Paul Ryan, prevedendo che il Congresso approvi i fondi entro fine settembre.

Intanto il capo della polizia di frontiera, Mark Morgan, è stato costretto a lasciare dopo che il presidente ha ordinato la costruzione del muro al confine con il Messico. Morgan oggi ha riferito di aver ricevuto la richiesta di dimettersi e di aver preferito lasciare piuttosto che opporsi. Era stato nominato alla guida dell’agenzia (20’000 agenti) lo scorso giugno.

Pena Nieto, con cui Trump voleva iniziare a rinegoziare l’accordo commerciale nord americano (Nafta), aveva reagito subito al suo annuncio sulla nuova barriera, chiedendo “rispetto” per la sovranità nazionale e ribadendo che il suo Paese “non crede nei muri” e “non pagherà alcun muro”.

Sean Spicer, portavoce della Casa Bianca, ha tentato di gettare acqua sul fuoco: “Cercheremo una data per fissare qualcosa in futuro. Manterremo aperte le linee di comunicazione”. Mentre Trump ha provato a far passare la cosa come una decisione “congiunta” perché altrimenti l’incontro sarebbe stato “infruttuoso”.

Nel frattempo anche il presidente cubano, Raul Castro, ha messo in chiaro di non volersi piegarsi ai diktat del presidente americano per proseguire il disgelo avviato da Obama: “Continueremo a negoziare”, ma senza che questo implichi “concessioni legate alla nostra sovranità e indipendenza”.

Il muro e la stretta sugli immigrati stanno mobilitando la protesta nel Paese. Da un lato sono scesi in campo i vescovi: la Conferenza episcopale americana ha criticato una politica che aumenterà le sofferenze e lo sfruttamento. Dall’altro è tornato in strada il popolo anti Trump: ieri con una veglia di alcune centinaia di persone vicino alla Casa Bianca e con una marcia a Manhattan di migliaia di manifestanti (al grido di “resistere”, “nessun muro, questa è la nostra New York”, “io sto con gli immigrati”), oggi con oltre 3000 attivisti a Filadelfia all’arrivo di Trump per il “ritiro” dei repubblicani, omaggiato dalla premier britannica Teresa May.

In rivolta anche le cosiddette “città santuario”, quelle che proteggono gli illegali e alle quali Trump ha deciso di tagliare i finanziamenti federali. Sono circa 300, tra cui Chicago, San Francisco, Newark (New Jersey), New Haven (Connecticut).

New York, che potrebbe vedersi togliere 7 miliardi di dollari, guida la protesta con il sindaco Bill de Blasio: “Questo è il sogno americano davanti ai vostri occhi. Non permetteremo che ce lo tolgano”, ha detto ai manifestanti, promettendo di difendere “tutti, a prescindere da dove vengono e dai loro documenti di identità”.

Ad aumentare le preoccupazioni, e non solo dei difensori dei diritti umani, sono le indiscrezioni sulla possibile riapertura delle carceri segrete della CIA all’estero per interrogare i terroristi e l’ambiguità di Trump sul waterboarding, l’annegamento simulato in fase di interrogatorio ritenuto una tortura e abolito da Barack Obama nel 2009: “Assolutamente, penso che funzioni”, ha ribadito il tycoon, scaricando però la decisione finale sul capo della CIA Mike Pompeo e sul segretario alla Difesa James Mattis.

Il suo partito, Ryan in testa, lo ha già sconfessato, bocciando inoltre alla Camera la sua richiesta di un’indagine su brogli elettorali ritenuti inesistenti. E la May, uno dei principali alleati su cui il magnate può contare, ha già avvisato che Londra potrebbe interrompere la collaborazione con l’intelligence statunitense se Washington dovesse adottare la tortura per ottenere informazioni negli interrogatori.

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