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Oro: gli Emirati Arabi potrebbero davvero eclissare la Svizzera?

A salesman arranges gold jewelry at Dubai Gold Souk
Un negozio nel suq dell'oro di Dubai. Francois Nel / Getty Images

A Dubai l’oro fa capolino ovunque, dalle vetrine sfavillanti dello storico suq della città vecchia allo sfolgorio dei grattacieli, che sembra omaggiare questo e altri metalli preziosi nel profilo ultramoderno della metropoli nel deserto. Contrariamente alla più discreta Svizzera, gli Emirati Arabi Uniti non temono di ostentare il loro nuovo status di centro internazionale dell’oro.

Posizionata nel cuore dell’Europa, la Svizzera ha dominato per decenni l’industria dell’oro globale, in termini di raffinazione come di compravendita. Oggi però gli Emirati ne minacciano la supremazia, situati come sono proprio all’incrocio tra l’Occidente e un Oriente sempre più benestante. Due mondi molto diversi tra loro, eppure strettamente correlati e sempre più in competizione.

Il Covid-19 e poi le guerre in Ucraina e in Medio Oriente hanno accelerato una tendenza strutturale in atto da quando Donald Trump ha assunto la carica di presidente degli Stati Uniti nel 2017, ovvero quella di ridefinire la globalizzazione così come l’abbiamo vissuta negli ultimi tre decenni. Da un lato, i Paesi occidentali, stanchi degli effetti negativi di una politica di apertura commerciale, stanno ricorrendo a misure più protezionistiche, abbracciando parallelamente un discorso anti-cinese. Dall’altro, quello che viene definito il Sud globale vuole un altro tipo di globalizzazione, che ponga al centro i suoi interessi.

Questi cambiamenti stanno influenzando le politiche estere, il commercio, gli investimenti e il modo in cui le grandi aziende internazionali si posizionano in un mondo sempre più diviso, sullo sfondo del rallentamento della crescita cinese.

Tra queste, le numerose multinazionali svizzere che traggono vantaggio dall’approvvigionamento di materie prime da tutto il mondo ed esportano i loro prodotti ovunque. Esse dipendono dalla stabilità dei prezzi delle materie prime, dalla fluidità delle catene di approvvigionamento e dall’apertura dei mercati.

In questa serie analizziamo l’impatto di questa evoluzione geopolitica sulle maggiori aziende svizzere. Tra gli argomenti trattati: come la Cina è un mercato interessante per alcuni beni di nicchia di fascia alta, il reshoring dell’industria farmaceutica in Europa, l’India come la prossima Cina e il possibile aspetto di una globalizzazione più inclusiva.

Gli Emirati, in particolare Dubai, stanno acquistando importanza come centro aurifero internazionale. Dal 2012 sfruttano la loro posizione strategica, le infrastrutture moderne e le politiche di apertura al mondo imprenditoriale per attirare attori globali del settore. Se la Svizzera vanta un sistema finanziario di lungo corso e un mercato disciplinato e ben regolamentato, gli Emirati Arabi Uniti offrono un ambiente dinamico e innovativo. Le sanzioni contro la Russia a seguito della guerra in Ucraina hanno contribuito a spostare la compravendita dell’oro in questa direzione.

Mercato
Il suq dell’oro a Dubai. Yui Mok / Alamy

Ma lo Stato arabo può davvero costituire una minaccia per la Svizzera? “Dipende da come si guarda al settore aurifero e dal ruolo che vi svolgono i diversi Paesi”, afferma Marcena Hunter, esperta d’oro residente in Australia. “Gli Emirati Arabi Uniti sono già uno dei principali centri di transito dell’oro. Dubai ne importa ed esporta quantità significative, anche in territorio elvetico. Per certi versi si potrebbe affermare che la capitale emiratina sia già più importante della Svizzera, soprattutto per quanto riguarda [le importazioni d’oro da] estrazioni artigianali o su scala ridotta”.

La Svizzera tende a rifornirsi da miniere industriali di varie parti del mondo. Gli Emirati, invece, preferiscono approvvigionarsi da operazioni di piccole dimensioni nell’Africa subsahariana, in America Latina e in Asia meridionale. Se la Svizzera è da sempre il principale importatore ed esportatore d’oro in termini di valore, gli Emirati Arabi sono arrivati a classificarsi tra i primi cinque.

+I segreti taciuti della più grande raffineria d’oro della Svizzera

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La Confederazione rimane la prima scelta per chi cerca transazioni aurifere precise e affidabili. Istituti bancari e raffinerie svizzere non fanno che sbandierare la propria aderenza ai regolamenti, con sempre maggiore enfasi sull’eticità delle proprie fonti. I membri dell’Associazione svizzera dei fabbricanti e commercianti di metalli preziosi hanno smesso di rifornirsi di oro da Dubai. L’anno scorso Valcambi, la più grande raffineria del Paese, ha deciso di dimettersi dall’associazione adducendo “divergenze inconciliabili”. L’associazione coordina la comunicazione e l’attività di lobby per conto del settore orafo svizzero ed è fiera del suo codice di condotta.

Un centro dell’oro in crescita

Nel giugno del 2022, il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI), un comitato di controllo contro il riciclaggio di denaro e i finanziamenti al terrorismo, ha ufficialmente identificato gli Emirati Arabi Uniti come una giurisdizione da sottoporre a maggiori ispezioni, a causa di potenziali lacune nell’efficacia delle iniziative intraprese per contrastare il riciclaggio e i finanziamenti illeciti. In particolare, il settore dell’oro era tra quelli che sembravano favorire le transazioni più problematiche.

“Dubai è un mercato importante, oltre che un centro internazionale per gli affari sui metalli preziosi”, dice Cristoph Wild, ex amministratore delegato della raffineria svizzera Argor-Heraeus e presidente dell’Associazione svizzera dei fabbricanti e commercianti di metalli preziosi. “Negli anni a venire acquisterà sempre maggiore importanza. Gli Emirati stanno compiendo dei grandi passi avanti in termini di sostenibilità e trasparenza […] ma non è ancora ora di accettare il materiale proveniente da quella regione alla cieca”.

“È stato dimostrato che buona parte dell’oro che passa per Dubai arriva dall’Africa, in particolare da attività illegali, criminali o zone di guerra”, spiega. “Con questo non intendo dire che tutti coloro che operano nel settore aurifero negli Emirati siano da evitare. C’è chi lavora bene, chi lavora male e chi vanta la massima trasparenza in termini di due diligence”.

Altri sottolineano che, se è vero che gli Emirati Arabi rimangono una destinazione di punta per l’oro estratto illegalmente, il Paese ha intrapreso diverse iniziative per consolidare il proprio quadro normativo: “Ci sono altri Paesi colpevoli di simili abusi o sfruttamenti”, dice Hunter, responsabile dell’ambito minerario presso la Global Initiative against Transnational Organized Crime (Iniziativa globale contro il crimine organizzato transnazionale), un’organizzazione della società civile incentrata sulle economie illecite. “Mercati come quello svizzero o inglese non possono definirsi migliori, finché continueranno a importare grandi quantità di oro da regioni in cui si sa che è soggetto a riciclaggio”.

In effetti, le principali esportazioni degli Emirati Arabi in Svizzera riguardano proprio il prezioso metallo. Secondo esperti ed esperte, l’oro problematico (che venga da zone di guerra in Africa o da aziende russe che aggirano le sanzioni occidentali) non ha difficoltà ad arrivare in territorio elvetico attraverso questi canali.

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Pulizie?

Lo scorso novembre, Dubai ha ospitato l’undicesima Conferenza annuale sui metalli preziosi, che ha attirato un buon numero di persone del settore, da responsabili degli aspetti normativi a esperti, esperte, banchieri, commercianti, aziende dedicate alla raffinazione e persino individui soggetti a sanzioni come Alain Goetz, che è stato multato dall’Unione Europea per aver trattato oro proveniente da una zona di guerra nella Repubblica democratica del Congo.

La Russia ha presenziato in gran numero per assicurarsi un posto al tavolo delle trattative. Tra gli argomenti oggetto di discussione, le tariffe per l’esportazione e le sanzioni con partner attuali e potenziali in Cina. Se i presentatori e presentatrici dell’evento hanno molto insistito sulla due diligence, altri hanno preferito esplorare strade alternative, incluso l’oro sudanese, noto per i collegamenti a finanziamenti bellici. Dubai ne è uscita come il cuore di un commercio aurifero sempre più intenso e teso a spostarsi verso Oriente.

Il Dubai Multi Commodities Centre (DMCC), una zona di libero scambio, è uno degli elementi che hanno determinato il successo degli Emirati nel mercato dell’oro globale. Al suo interno, infatti, si trovano diverse raffinerie auree, tra cui Emirates Gold. L’azienda è stata sospesa dall’elenco di raffinerie approvate (Good Delivery Standard) sia dalla London Bullion Market Association (LBMA) sia dagli stessi Emirati per sospetto riciclaggio, con grande orrore di Daniele Provenzale, lo svizzero appena nominato amministratore delegato, che ha partecipato alla conferenza ma ha rifiutato di farsi intervistare.

Nel 2021, gli Emirati Arabi Uniti hanno lanciato un Good Delivery Standard, una serie di norme per regolare gli accordi e la compravendita dell’oro. Tale standard prevede verifiche annuali su tutti gli attori del settore per assicurare che rispettino le leggi sul riciclaggio di denaro e sugli approvvigionamenti responsabili.

“Nel giro di due anni, questo posto sarà pulito quanto Singapore”, sostiene Lars Johansson, consulente indipendente della ditta elvetica Secure Supply Chains, il quale partecipa regolarmente alla conferenza. “Gran brutta notizia per la Svizzera”.

Grattacieli
La “Gold Tower” di Dubai. Jeffrey Isaac Greenberg / Alamy Stock Photo

Campi diversi

Andrew Naylor, responsabile delle politiche pubbliche e per il Medio Oriente del World Gold Council, riconosce la potenziale minaccia al dominio svizzero, ma non la considera necessariamente un rischio perché i due Paesi servono due diverse aree del mercato: “I veri problemi possono nascere dalla raffinazione”, dice.

Gli Emirati hanno fatto parecchia strada da quando il cittadino svizzero Mohamad Shakarchi ha aperto la zecca e raffineria Emirates Gold a Dubai, nel 1992. Se la Confederazione vanta cinque delle raffinerie auree più grandi e importanti al mondo, gli Emirati arabi ne hanno numericamente il doppio, sebbene più piccole. Nel 2022, poi, hanno sottoscritto un accordo commerciale con l’India, il secondo acquirente di gioielli d’oro al mondo dopo la Cina, nonché un cliente chiave delle raffinerie svizzere.

Il Paese alpino, però, può sfruttare un vantaggio competitivo su diversi altri fronti, dice Naylor. La Svizzera, infatti, è un importante centro per il deposito sicuro di beni, capace di offrire camere blindate e relativi servizi a individui e istituzioni dal patrimonio elevato, mentre gli Emirati non hanno un’attività significativa in questo senso. Entrambi i Paesi, invece, non sono particolarmente attivi nelle vendite da banco.

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Inoltre, Dubai è completamente assente dal settore degli investimenti. Oltre 3’000 tonnellate d’oro, nel mondo, sono investite in fondi scambiati in borsa (ETF), investimenti che seguono un indice, una borsa merci, dei bond o una serie di prodotti. La metà di quella cifra è investita in ETF localizzati negli Stati Uniti. Segue Londra, con 600 tonnellate, poi la Germania e la Svizzera, con 340 tonnellate l’una, mentre gli Emirati non rientrano nemmeno tra i primi 20 Paesi.

Le iniziative degli Emirati per elaborare normative più rigorose vengono considerate un progresso dal GAFI. Molte persone, nel settore, sottolineano anche che l’oro è pur sempre oro e che il cosiddetto “oro cattivo” finirà sempre per trovare un mercato. Eppure, anche la Svizzera sta consolidando le proprie normative, facendo leva sulla propria reputazione per mantenere un vantaggio competitivo rispetto agli Emirati e ad altri centri di raffinazione.

“È un dibattito che va avanti da sempre: la due diligence è un rischio o un vantaggio, in termini di future percentuali di mercato?”, spiega l’esperto di industria mineraria e consulente dell’OCSE Louis Marechal a SWI swissinfo.ch. “Noi abbiamo sempre sostenuto che sia un vantaggio, perché è un requisito sempre più richiesto dai mercati e dalle agenzie di regolamentazione. Sono convinto che le raffinerie svizzere e dell’LBMA in genere siano più affidabili e responsabili di molte altre attività di raffinazione nel mondo”.

A cura di Nerys Avery/vm

Questo articolo è stato corretto il 26 febbraio per specificare che Valcambi ha deciso di dimettersi dall’Associazione svizzera dei fabbricanti e commercianti di metalli preziosi e non ne è stata esclusa come scritto in precedenza.

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