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Alpi e demografia

Molte vallate dell'arco alpino sono in via di spopolamento, altre dimostrano un notevole dinamismo demografico.

Un’analisi della popolazione delle Alpi fra 1871 e 2000 mette in luce grandi differenze nello sviluppo regionale.

Tra spopolamento e boom demografico

Nel 1870, i quattro comuni ticinesi della Val Rovana, una valle laterale della Valle Maggia, contavano 1411 abitanti. Nel 2000, a Bosco Gurin, Campo, Cerentino e Linescio vivevano ancora 219 persone. Nell’arco di 130 anni, la valle ha perso quasi l’85% della popolazione.

Lo spopolamento è proseguito durante tutto il periodo considerato, senza inversioni di tendenza e con un’accelerazione nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale. Solo nell’ultimo decennio in alcuni comuni la popolazione è leggermente aumentata.

All’altro opposto dello sviluppo demografico alpino si trova St.Moritz, nei Grigioni. Nel 1870, la nota località turistica contava 400 abitanti. Nel 2000, gli abitanti erano 5589. La popolazione residente a St.Moritz è aumentata molto rapidamente durante il primo boom turistico, tra 1880 e 1910 (da 394 a 3197 abitanti) e quindi tra 1960 e 1980.

Mentre St.Moritz nel 1870 era ancora un villaggio, appena agli inizi del suo sviluppo turistico, Thun nel canton Berna era già una cittadina di 7290 abitanti. Senza conoscere i rapidi aumenti di popolazione della località grigionese, Thun è cresciuta costantemente, fino a raggiungere gli attuali 40’377 abitanti.

Un paesaggio demografico complesso

Come emerge dai tre esempi, lo sviluppo demografico nell’arco alpino presenta notevoli divergenze. Ad aree con tassi di crescita elevati si alternano regioni con un bilancio demografico nettamente negativo. Anche nelle Alpi persone e servizi tendono a concentrarsi nelle aree urbane.

Ma si tratta di una situazione dinamica, soggetta a variazioni nel corso del tempo, come dimostra un recente studio di Werner Bätzing e Yven Dickhörner sulla popolazione dei comuni alpini tra 1871 e 2000, commissionata dal ministero dell’ambiente tedesco (studio confluito nel libro “Die Alpen” di werner Bätzing).

Soprattutto in Svizzera, il “paesaggio demografico” è particolarmente frastagliato. Bätzing e Dickhörner hanno individuato 17 modelli diversi di sviluppo demografico, suddivisi in base al decorso temporale della crescita o della diminuzione della popolazione. In Svizzera, sono presenti tutti i 17 modelli.

Lo choc dell’industrializzazione

Tra 1871 e 1951, epoca segnata dall’avvento della società industriale, la popolazione delle Alpi è cresciuta del 37%. Molto meno rispetto alla crescita media del 51% registrata complessivamente negli otto stati alpini (Francia, Monaco, Italia, Svizzera, Germania, Austria, Liechtenstein e Slovenia). L’arco alpino appare perciò in questo periodo come un’area in difficoltà.

Un’analisi differenziata dimostra però che, mentre la metà dei comuni alpini è interessata da un forte calo della popolazione (- 36%), l’altra metà presenta tassi di crescita molto elevati (+ 81%).

Si spopolano in particolare le regioni sud-occidentali dell’arco alpino (Alpi francesi e italiane, Canton Ticino), in cui le forme economiche tradizionali non sono sostituite da nuove attività produttive.

Cresce invece la popolazione nelle città e nelle valli principali che hanno buone vie di collegamento e nelle valli laterali in cui il turismo prende il posto delle attività tradizionali. Un’evoluzione che riguarda soprattutto Baviera, Voralberg, Liechtenstein, Tirolo, Salisburgo, Carinzia e Alto Adige, ma anche alcune località delle Alpi svizzere.

Dalla società industriale alla società dei servizi

Dal 1951 al 1981, il tasso di crescita demografica dell’arco alpino si avvicina a quello medio degli stati alpini, ma in quasi la metà dei comuni (47%) il calo demografico prosegue.

Nell’epoca del boom economico degli anni ’50, le aree alpine sono sempre più integrate nell’economia europea. La divisione dell’Europa in due blocchi favorisce lo sviluppo dei traffici sull’asse nord-sud, a scapito della tradizionale direttrice est-ovest.

A sostenere la crescita sono le aree di fondovalle industrializzate, le città poste sulle vie di transito e le regioni turistiche. Dopo il 1971, alcune regioni delle Alpi francesi riescono a rovesciare il trend demografico negativo, ma si formano nuove aree di spopolamento nell’Italia nord-orientale (Lombardia, Friuli, Veneto) e in alcune regioni delle Alpi orientali austriache caratterizzate da un’industrializzazione precoce.

Negli anni Ottanta e Novanta, l’arco alpino segna tassi di crescita nettamente superiori alla media europea. A sostenere la crescita sono ormai soprattutto le città alpine e le metropoli al margine delle Alpi; il 27% dei comuni continua a spopolarsi.

Il 18% della popolazione alpina è interessato da fenomeni di pendolarismo tra le grandi città al di fuori delle Alpi e le località di residenza nell’arco alpino.

Anche il turismo entra in una fase di stagnazione dopo il 1985. Località turistiche di piccole e medie dimensioni registrano una stagnazione o addirittura un calo demografico, mentre le località più grandi assumono dimensioni e funzioni urbane.

swissinfo, Andrea Tognina

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