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Horizon: professore invita a resistenza passiva contro governo

Casasus è intervenuto durante la trasmissione La Matinale della RTS. sda-ats

(Keystone-ATS) Resistenza passiva contro il Consiglio federale, con la rinuncia ai mandati della Confederazione.

È questa, secondo il politologo Gilbert Casasus, la via che devono abbracciare i ricercatori scientifici, per protestare contro l’esclusione della Svizzera dai programmi Ue Horizon. Prendersela con Bruxelles o lanciare appelli non ha senso, il problema è tutto domestico, dice.

La campagna “Stick to Science” lanciata ieri dagli atenei è sbagliata, afferma il professore di studi europei all’Università di Friburgo in un’intervista diffusa stamani dalla radio romanda RTS. “La campagna è controproducente, il destinatario è scelto male”.

A suo avviso i ricercatori dovrebbero rivolgersi al governo inglese (per via della Brexit) e al Consiglio federale. Se gli studiosi elvetici sono esclusi da Horizon è infatti perché l’esecutivo a Berna ha deciso, in modo unilaterale, di non firmale l’accordo quadro con Ue.

Casasus critica anche le dichiarazioni della segretaria di stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione Martina Hirayama, che aveva invitato l’Ue a non mischiare il tema con la questione istituzionale. “Mi fa pensare al pompiere-piromane che fa scoppiare un incendio, chiama i vigili del fuoco e che prende la parola davanti ai media dicendo: sono veramente scandalosi, tutti questi piromani”.

“Se i ricercatori svizzeri sono oggi esclusi dalla ricerca europea è per colpa unicamente del governo federale”, insiste il direttore del Centro per gli studi europei dell’Università di Friburgo. “Se c’è una parola che riassume perfettamente il sentimento a Bruxelles nei confronti della Svizzera, questa è esasperazione”.

Casasus si mostra anche sconcertato per la recente intervista a un domenicale in cui il presidente della Confederazione Ignazio Cassis ha parlato di un possibile pacchetto di accordi bilaterali. “Almeno dal 2008 l’Ue dice che l’era dei bilaterali è terminata, proponeteci qualcosa d’altro”. “E se si propone qualcosa che non è accettabile a pagare il prezzo sono appunto, in parte, i ricercatori svizzeri”, chiosa il 67enne.

Per Casasus occorre ora fare pressione sul Consiglio federale. “Personalmente sono favorevole a una forma di resistenza passiva: tutti i ricercatori dovrebbero rifiutare di assumere mandati che vengono offerti dal governo federale”, dice. “Evidentemente è un’arma a doppio taglio, ma oggi serve una mobilitazione degli studiosi svizzeri contro la posizione anti-scienza del loro esecutivo”, argomenta. “Ci vuole un po’ di coraggio”.

Il professore ha citato anche le parole dell’ex ambasciatore dell’Ue in Svizzera Michael Matthiessen: “quando non si siede alla tavola dei convitati, non si ha diritto al menu”. “Non è l’Unione europea” – prosegue Casasus – “che deve avere la responsabilità della mancanza di ingegnosità e degli errori del Consiglio federale”:

“Chiedo ai ricercatori di assumere il ruolo di cittadini scontenti e furiosi contro l’attitudine del governo federale, evitando di prendersela con Bruxelles, è troppo facile”, afferma. “Non sarà a Bruxelles che la soluzione sarà trovata: dovrà essere trovata dapprima a Berna”.

La Confederazione deve a suo avviso uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata: “i cittadini e i ricercatori svizzeri sono vittima della blocherizzazione dello spirito elvetico”, conclude il professore facendo riferimento all’azione politica di Christoph Blocher, l’ex consigliere federale che nel 1992, in qualità di presidente dell’UDC zurighese e presidente dell’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI), ebbe un ruolo centrale nella decisione del popolo svizzero di opporsi all’adesione allo Spazio economico europeo (SEE).

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