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Israele accelera su Rafah e attacca Hezbollah in Libano

(Keystone-ATS) Dopo mesi di annunci e frenate, Israele sembra di nuovo accelerare nell’incursione di terra a Rafah.

Si tratta dell’ultimo bastione di Hamas nel sud della Striscia di Gaza, dove sono sfollati oltre un milione di palestinesi in fuga dalla guerra e dove, secondo lo Stato ebraico, si nascondono le ultime sacche di resistenza della fazione islamica, compreso l’inafferrabile capo militare Yahya Sinwar.

A sei mesi dall’attacco del 7 ottobre, l’esercito israeliano si prepara dunque a finire il lavoro su due fronti: a sud, nella Striscia ormai quasi rasa al suolo, e nel nord di Israele, costantemente preso di mira dai razzi di Hezbollah dal sud del Libano: il ministro della Difesa Yoav Gallant ha annunciato l’avvio di “un’azione offensiva” al confine, con decine di raid aerei e attacchi di artiglieria che hanno colpito “40 obiettivi”, e ha rivendicato l’uccisione “di metà dei comandanti” dei miliziani sciiti filoiraniani nell’area.

E così, nonostante il monito degli Stati Uniti e degli altri alleati occidentali a non attaccare Rafah senza aver prima evacuato gli sfollati (operazione che richiederebbe altre 4-5 settimane, secondo fonti americane alla tv Kan), l’Idf (Forze di difesa israeliane) ha fatto sapere di essere pronto a entrare nella città al confine con l’Egitto e di attendere solo il via libera del governo. Tanto che, riferiscono fonti di stampa, il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, e il capo di stato maggiore, Herzl Halevi, si sono recati al Cairo per incontrare il capo dell’intelligence egiziana e altri funzionari militari per discutere dei piani per l’imminente offensiva a Rafah (che anche l’Egitto osteggia nel timore di un esodo incontrollato di palestinesi sul suo territorio), così come degli sforzi per riavviare i negoziati per un accordo sulla liberazione degli ostaggi ancora in mano a Hamas.

E proprio per alimentare l’ansia dei familiari sul loro destino e premere sul malcontento degli israeliani nei confronti del governo Netanyahu, le Brigate Al Qassam hanno diffuso su Telegram un nuovo video di uno degli ostaggi, l’israelo-americano Hersh Goldberg-Polin, 24 anni compiuti in prigionia. Rapito il 7 ottobre dal Nova festival di Reim, il ragazzo rimase ferito da una granata dei terroristi che gli è costata l’amputazione di un braccio. “Netanyahu e i tuoi ministri, dovete vergognarvi”, è il grido del giovane visibilmente provato e smagrito. “Mentre siete a tavola con le vostre famiglie, pensate a noi prigionieri nell’inferno sottoterra, senza acqua, senza cibo, né sole, né medicine di cui avevo così bisogno”, aggiunge Goldberg-Polin mostrando il braccio amputato nel video che non è possibile datare ma in cui fa riferimento a “200 giorni” di prigionia e alla festa di Pesach che è in corso in questi giorni.

Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è tornato ad attaccare il premier Benjamin Netanyahu, colpevole a suo avviso di “mettere in pericolo la sicurezza dell’intera regione, come anche quella dei suoi stessi cittadini, soltanto per estendere la sua carriera politica”. Un invito a dimettersi è arrivato anche dalla decana della politica Usa, la democratica Nancy Pelosi, nel giorno in cui il presidente Joe Biden ha firmato il pacchetto di aiuti verso Israele, che prevede anche un “aumento significativo dell’assistenza umanitaria a Gaza”, ed è tornato a sollecitare lo Stato ebraico a “garantire che gli aiuti arrivino ai palestinesi senza ritardi”. La situazione umanitaria nella Striscia appare infatti sempre più catastrofica: anche la Fao l’ha definita la crisi alimentare più grave nella storia della scala della sicurezza del cibo.

E intanto cresce la preoccupazione per le accuse rivolte a Israele per il caso dei corpi sepolti in fosse comuni nei dintorni degli ospedali di Gaza. Lo Stato ebraico continua a negare una sua responsabilità, spiegando che l’esercito ha disseppellito, “trattandoli con dignità”, cadaveri sepolti in precedenza mentre cercava i corpi di ostaggi uccisi. Anche l’Ue si è unita al coro di chi chiede “un’indagine indipendente su tutti i sospetti e tutte le circostanze” relative alle fosse comuni “perché tutto questo crea l’impressione che potrebbero essere state commesse violazioni dei diritti umani internazionali”.

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