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Alla ricerca di osservatori per le espulsioni coatte

Neutrale e indipendente: la Croce Rossa Ex-press

Dal gennaio prossimo, le operazioni di espulsioni forzate di richiedenti l’asilo saranno seguite da un osservatore neutrale. Questa misura è contemplata in una direttiva dell’accordo di Schengen/Dublino. La Croce Rossa svizzera ha declinato l’offerta di mettere a disposizione dei collaboratori.

«Facciamo parte del movimento mondiale della Croce Rossa. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha una posizione chiara al riguardo: un’organizzazione nazionale non deve assumersi questo compito», ricorda a swissinfo.ch Beat Wagner, portavoce della Croce Rossa svizzera (CRS). Per il momento, al mondo, soltanto la Croce Rossa del Lussemburgo mette a disposizione degli osservatori.

«L’impiego di osservatori potrebbe mettere in pericolo la neutralità e l’indipendenza del movimento della Croce Rossa nel mondo. Anche la sicurezza potrebbe essere a rischio», continua Wagner.

«Inoltre, non abbiamo nessun controllo su ciò che succede alle persone rimpatriate nel loro Paese d’origine. Anche per questo motivo non possiamo assumerci questa responsabilità».

Con queste motivazioni la CRS ha rifiutato l’invito dell’Ufficio federale della migrazione (UFM). «Deploro questa decisione, ma non è una sorpresa», ha affermato il direttore dell’UFM, Alard du Bois-Reymond. «Sarei stato molto felice, se l’organizzazione avesse avuto il coraggio di assumersi questo compito».

Comprende tuttavia questa decisione alla luce dell’«inasprita situazione politica». L’UFM si rivolgerà ora ad altre organizzazioni non governative (ONG).

«Non deve essere per forza una ONG. L’importante è che questa istituzione svolga la sua funzione indipendentemente dalle autorità esecutive», precisa a swissinfo.ch Marie Avet dell’UFM, affermando inoltre di aver contattato «varie organizzazioni», delle quali non vuole tuttavia fornire ulteriori informazioni.

Questioni etiche

«Abbiamo già discusso il problema dell’osservatore con l’Ufficio federale della migrazione. Per noi è impossibile sia da un punto di vista organizzativo che materiale», afferma a swissinfo.ch Jean-Pierre Restellini, presidente della Commissione nazionale per la prevenzione della tortura.

«La nostra commissione è formata da dodici persone soltanto [La commissione è composta da dottori e giuristi, ndr.]. Motivo per cui non possiamo assumerci questo compito. Inoltre, rimane ancora aperta la questione se i voli sono sensati e se sono accettabili per i richiedenti l’asilo respinti», sottolinea Restellini.

«Ci sono dottori che affermano che questi voli per le espulsioni coatte sono indegne per un essere umano e li rifiutano», afferma il medico Restellini, ricordando inoltre i costi delle reclusioni e dei voli speciali, durante i quali i rifugiati sono legati con dei lacci e accompagnati da un poliziotto armato.

Permessi di atterraggio negati

Questi rimpatri forzati falliscono regolarmente, poiché le autorità locali negano il permesso di atterraggio. I velivoli sono così costretti a fare ritorno in Svizzera con ancora tutti i passeggeri a bordo.

«Non sarebbe più intelligente trovare un’altra soluzione? Forse sarebbe meglio creare delle condizioni più attrattive nei Paesi d’origine, cosicché le persone non sentano il desiderio di emigrare in altri Stati. Lo so, è facile affermarlo, un po’ meno realizzarlo», ammette Restellini.

Stando al presidente, la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura potrebbe assumersi il compito di «nominare, formare e sorvegliare» gli osservatori neutrali. È una soluzione che deve tuttavia ottenere l’approvazione della maggioranza dei membri della commissione, consenso tutt’altro che scontato, riconosce Restellini. Ricorda, inoltre, che non ha ancora ricevuto «una richiesta ufficiale da parte dell’UFM» e che quindi per il momento non si sono occupati del problema.

In sintonia con Schengen

Le espulsioni coatte sono molto discusse e sono balzate spesso sulle prime pagine dei giornali. Nel 1999 – per esempio – è stata la morte del palestinese Khaled Abuzarifa, soffocato durante il rimpatrio, a far gridare allo scandalo.

Nel 2001, l’uso della forza da parte di un’unità speciale della polizia del canton Vallese ha causato la morte per asfissia del nigeriano Samson Chukwu. Nel marzo di quest’anno, l’espulsione forzata ha causato un’altra vittima: un 29enne nigeriano, morto dopo che era stato ammanettato con la forza.

L’introduzione degli osservatori neutrali non è tuttavia una conseguenza di questi decessi. È invece l’attuazione di una clausola della direttiva sul rimpatrio dell’Unione europea, approvata nell’estate 2010 dal parlamento elvetico e che la Svizzera riprende come Stato membro dello Spazio di Schengen/Dublino.

Le norme Ue sul rimpatrio degli immigrati illegali e ai richiedenti l’asilo respinti vengono concessi dai 7 ai 30 giorni di tempo per andarsene volontariamente.

La detenzione è prevista solo se sussiste il pericolo di fuga.

Il periodo di detenzione, di regola, non dovrebbe superare i sei mesi.

Una proroga di altri 12 mesi è possibile, se il rimpatrio è difficoltoso dalla «mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo» o dai «ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi».

La legge sull’asilo, accettata dal popolo svizzero nel settembre del 2006, non prevede più assistenza sociale per i candidati all’asilo respinti.

Il periodo massimo di detenzione in attesa di un rimpatrio forzato è fissata a 24 mesi (nella legge precedente erano 12).

È esclusa l’accoglienza per motivi umanitari. Il ricongiungimento familiare e il permesso di lavorare in caso di una decisione provvisoria sono facilitati.

(traduzione dal tedesco, Luca Beti)

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