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, colloqui appesi a filo

(Keystone-ATS) Nessuna cooperazione d’Israele con i palestinesi, eccetto quella diplomatica e di sicurezza. È la decisione presa oggi dal premier Benyamin Netanyahu che testimonia la situazione difficile, quasi disperata, dei colloqui di pace. Una ritorsione alla scelta di Abu Mazen di rivolgersi alle istituzione internazionali subito condannata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), che ha parlato di decisione che mina i negoziati futuri.

È un segno evidente dell’ulteriore aggravarsi dei rapporti, che pure non impedirà alle parti di incontrarsi domani a Gerusalemme – alla presenza dell’inviato Usa Martin Indyk – nell’estremo, complicatissimo tentativo di riannodare i fili sempre più lacerati del dialogo.

La mossa del premier israeliano è arrivata poche ore dopo le affermazioni attribuite al segretario di stato Usa John Kerry che, in un’audizione in Senato, ha rimproverato soprattutto al governo Netanyahu lo stallo nella partita, mettendola in relazione con il mancato rilascio di una quarta tranche di detenuti palestinesi e con l’ampliamento degli insediamenti a Gerusalemme est.

Israele ha fatto sapere al New York Times – tramite una fonte dell’ufficio del premier – di essere “profondamente deluso” per quelle accuse ricordando che Netanyahu, se non altro, si è detto disponibile a proseguire il negoziato per tutto il 2015. Nello scacchiere internazionale è scesa intanto in campo anche la Lega Araba che – in riunione al Cairo, presente il presidente dell’Anp Abu Mazen – ha addossato ad Israele l’intera responsabilità della crisi. La mancata scarcerazione dei detenuti “è uno schiaffo più agli Usa che alla Palestina”, ha poi tuonato il ministro degli esteri di Ramallah, Riyad al-Malki, visto che gli americani sono sponsor di un negoziato su cui l’amministrazione Obama aveva scommesso.

Netanyahu – come aveva detto nei giorni scorsi preannunciando “azioni unilaterali” in risposta alle “mossa unilaterali” di Abu Mazen sull’adesione ai 15 trattati internazionali – ha comunque messo i piedi nel piatto. Via telefono – hanno ricostruito i media – ha fatto sapere ai ministri del suo governo che da quel momento ogni cooperazione in campo civile ed economico con i palestinesi era da interrompere. Ma si è d’altro canto guardato bene dal bloccare quella di sicurezza e quella diplomatica, lasciando così libero il capo negoziatore israeliano Tizpi Livni d’incontrare domani quello dell’Olp Saeb Erekat.

Un cartellino – a giudizio di alcuni – che al momento pare giallo e non rosso: soprattutto in considerazione dei contraccolpi che una rottura totale potrebbe produrre nelle relazioni – vitali per Israele – con gli Usa. La decisione di Netanyahu non è piaciuta però affatto all’opposizione israeliana: il capo dei laburisti Isaac Herzog ha accusato il premier di dare nutrimento “agli odiatori di Israele”.

Ancora più dura, ovviamente, la risposta dei palestinesi: il portavoce dell’Anp Ihab Bassiso ha detto che l’atteggiamento di Netanyahu “non rappresenta solamente un’illegittima pressione sulla leadership palestinese, ma mina alla base ogni tipo di negoziati futuri”.

Per Bassiso “il blocco delle relazioni non avrà effetti negativi solo sui servizi legati alla salute e all’agricoltura, ma su tutte le attività di cooperazione con le agenzie umanitarie e di sviluppo internazionale”. Tuttavia anche lui ha notato che l’interruzione dei rapporti non riguarderà “il settore delle telecomunicazioni né le tasse”: che Israele raccoglie per l’Anp e che sembravano essere nei giorni scorsi, a giudizio di molte, le più probabili contromosse ‘punitive’ d’Israele.

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