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“Damnatio memoriae” per Cameron, critiche su Libia e Bbc

L'ex premie britannico David Cameron KEYSTONE/EPA FILE/FACUNDO ARRIZABALAGA sda-ats

(Keystone-ATS) Sembra sia calata la ‘damnatio memoriae’, la condanna all’oblio che nell’antica Roma colpiva i personaggi caduti in disgrazia, su David Cameron.

In poche ore infatti alcuni deputati Tory e lo stesso governo conservatore hanno sconfessato alcune delle decisioni più importanti prese dal loro ex leader quando era primo ministro.

A partire dal duro attacco della commissione parlamentare per gli Affari esteri contro l’intervento in Libia guidato da Londra e Parigi che portò alla cacciata di Muammar Gheddafi nel 2011 e soprattutto all’ascesa dell’Isis che così creò “basi” affacciate sul Mediterraneo.

Nel documento, che a molti ha ricordato per i toni molto forti le conclusioni della Chilcot Inquiry che ha puntato il dito contro Tony Blair e il suo esecutivo per aver portato il Paese nella guerra in Iraq al fianco degli Usa nel 2003, si accusa Cameron di non aver avuto una coerente strategia, di aver condotto l’intervento senza “le necessarie informazioni” e di aver condotto al collasso della Libia e alla nascita dello stato islamico nel Nord Africa.

In più non avrebbe identificato “l’elemento islamico estremista nella ribellione”. Quello che doveva essere un aiuto alla popolazione di Bengasi si è trasformato nel rovesciamento del regime di Gheddafi.

L’attacco a Cameron non arriva da una commissione parlamentare ostile ai Tory, tutt’altro: il presidente, Crispin Blunt, e la maggioranza dei suoi membri, sono conservatori. Nel rapporto si arriva addirittura a dire che c’erano a disposizione “opzioni politiche” una volta che Bengasi era stata messa in sicurezza, inclusa la possibilità di ricorrere ai contatti stretti tra l’ex premier laburista Blair e il colonnello. “Ma la Gran Bretagna si è concentrata solo sull’intervento militare”, conclude il documento.

Il governo, tramite il Foreign Office, si è difeso affermando che l’intervento fu frutto di una decisione internazionale e che fu autorizzato dalle Nazioni Unite.

Ma le conseguenze di questo atto di accusa vanno oltre la politica britannica e potrebbero avere un peso sulle elezioni presidenziali americane, per il coinvolgimento degli Usa nel conflitto del 2011 proprio quando era segretario di Stato Hillary Clinton, attuale candidata democratica alla Casa Bianca.

Dal canto suo, invece, Cameron si ritrova a dover gestire un altro “macigno” che pesa sulla sua eredità storica, dopo il cocente fallimento nel mantenere il Regno nell’Ue col referendum sulla Brexit che gli è costato il posto di primo ministro.

Come se non bastasse, la prima presidente donna del Bbc Trust, Rona Fairhead, nominata da lui, ha annunciato le sue dimissioni dall’emittente pubblica dopo l’intervento di Theresa May. La premier ha di fatto annullato il rinnovo del suo incarico deciso dal predecessore appena quattro mesi fa. Il governo ha detto di voler aprire un nuovo processo di nomina ma Fairhead, nonostante l’invito della stessa May, ha deciso di non prendervi parte.

Un colpo dopo l’altro che forse spiega perché nei giorni scorsi Cameron abbia deciso di dare in anticipo l’addio definitivo alla politica, lasciando anche il seggio di deputato alla Camera dei Comuni ed evitando così di ritrovarsi nell’occhio del ciclone.

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