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Ancora troppo lavoro minorile nel cioccolato svizzero, DB

(Keystone-ATS) ZURIGO – Il lavoro minorile nelle piantagioni di cacao dell’Africa occidentale rimane a livelli “spaventosi”. La denuncia è della Dichiarazione di Berna (DB), che oggi ha pubblicato i risultati di uno studio realizzato nel Ghana e nella Costa d’Avorio.
L’organizzazione terzomondista ha ribadito le sue critiche all’industria del cacao e del cioccolato: le aziende del settore hanno sottoscritto nove anni fa un protocollo con il quale si sono impegnate a far scomparire entro il 2005, dalle piantagioni di cacao dell’Africa occidentale, le forme più gravi di lavoro minorile, tratta di essere umani e schiavitù.
Il protocollo non ha tuttavia portato a nulla, scrive la Dichiarazione di Berna in una nota. DB basa questa affermazione su uno studio commissionato all’Università Tulane di New Orleans (USA). Il rapporto finale dello studio, pubblicato venerdì scorso, offre “un’immagine raccapricciante”.
Da esso risulta che il numero di bambini deportati dal Burkina Faso e dal Mali e venduti alle piantagioni di cacao ivoriane e ghanesi è ancora più alto di quanto si era ipotizzato nel 2002, quando lo studio aveva preso il via.
Tutti i 600 bambini intervistati dai ricercatori dell’università americana hanno riferito di condizioni di lavoro degradanti: sono costretti ad utilizzare pesticidi senza alcuna protezione e devono subire violenze fisiche e psichiche. Molti di loro sono inoltre vittime di trafficanti di esseri umani.
I risultati dello studio – scrive la Dichiarazione di Berna – sono “particolarmente allarmanti” per la Svizzera. Oltre ad essere la sede delle più grandi multinazionali del cioccolato, la Confederazione detiene infatti anche il record mondiale del consumo del prodotto a base di cacao.
Chocosuisse: “conosciamo i problemi”I problemi sono noti e sono stati lanciati diversi progetti per cercare di risolverli, ha dichiarato all’ATS Franz U. Schmid, direttore dell’associazione dei fabbricanti svizzeri di cioccolato Chocosuisse. Schmid ha ricordato che la sua associazione ha elaborato un codice di condotta che mira a migliorare il reddito dei produttori di cacao.
“Vogliamo sapere dove sono prodotte le fave di cacao e in quali condizioni lavorano i contadini e le loro famiglie”. Per Schmid, il metodo migliore per raggiungere questo obiettivo consiste nel collaborare con cooperative affidabili di produttori. Il direttore di Chocosuisse non crede per contro che la rinuncia ad importare cacao dal Ghana e dalla Costa d’Avorio contribuirebbe a risolvere i problemi: a soffrirne sarebbe ancora una volta la popolazione di questi paesi.

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