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Arte: è morto Arakawa, designer teorico delle “case scomode”

(Keystone-ATS) NEW YORK – L’artista e designer giapponese Shusaku Arakawa, che con la moglie Madeline Gins ha esplorato l’idea dell’immortalità creando edifici che possano contrastare l’invecchiamento, è morto in un ospedale di Manhattan all’età di 73 anni.
L’annuncio della scomparsa è stato dato oggi dalla scrittrice e saggista Gins al “New York Times”, non rendendo nota tuttavia la causa del decesso del marito dopo una settimana di ricovero.
Il pittore Arakawa, uno dei protagonisti internazionali del concettualismo, e Gins avevano proclamato provocatoriamente negli anni Novanta di “non voler morire”. E per “sconfiggere la morte” avevano lanciato dal loro studio di Soho a New York l’idea dell'”Architettura del Destino Reversibile”. Il duo artistico-architettonico ha così teorizzato che la morte potesse essere battuta per via architettonica, creando ambienti che mettessero a disagio fisico gli occupanti. “Le persone non dovrebbero adagiarsi in situazioni confortevoli o accelereranno il loro declino”, dichiarò Arakawa a “Newsweek”, che si era guadagnato la fama di designer delle “case scomode”.
Sebbene poetica, la teoria dei due artisti è eccentrica e difficile da provare. Ma questo non ha scoraggiato istituzioni accademiche come l’Università di Parigi, quella della Pennsylvania e la Slough Foundation, che hanno organizzato una serie di conferenze internazionali sulle teorie di Arakawa e Gins. Il Guggenheim Museum di Soho già alla fine degli anni Novanta dedicò al duo una retrospettiva. Sostenuti anche dall’approvazione di filosofe del calibro di Catherine Malabou e Dorothea Olkowski, Arakawa e Gins hanno girato per il mondo a costruire installazioni per parchi pubblici, loft, hotel, complessi residenziali e abitazioni monofamiliari.
Da Parigi a Tokyo, passando per New York e Firenze (i Riva Loft di Claudio Nardi), il duo ha creato strutture che sfidano la proporzionalità e ingannano i sensi dell’osservatore: pavimenti inclinati, finestre sghimbesce, stanze asimmetriche. Le case sembrano avere troppe entrate e niente finestre. Anche i colori, polimericamente innaturali, sono stati concepiti per scioccare. Dalla necessità di combatterlo scaturirebbe l’energia vitale necessaria a contrastare l’invecchiamento, secondo le teorie di Arakawa e Gins.
Prima di dedicarsi all'”Architettura del Destino Reversibile”, Arakawa è stato uno dei principali protagonisti del concettualismo internazionale, esponendo i suoi quadri in musei e gallerie in Giappone, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e in Italia. Negli anni Ottanta il pittore è stato tre volte ospite di rassegne nel capoluogo della Lombardia, che nel 2005 gli ha dedicato una retrospettiva alla Galleria Milano. Nelle tele di Arakawa figurano linee, frecce in direzioni opposte, parole scritte sparse qua e là, come quelle che risuonano nella mente, immerse in uno spazio grigio, vuoto, “blank”.
Scriveva Italo Calvino in un articolo pubblicato nel 1985: “Blank è il colore della mente, un colore che non riusciamo mai a vedere: solo lo sguardo di Arakawa è così veloce che riesce a cogliere il vero colore e a comunicarcelo”. Se Marcel Duchamp sosteneva di voler riportare l’arte al servizio della mente, Arakawa si è spinto oltre, auspicando che l’arte si interrogasse sulla natura della mente che li contempla. Discipline diverse (Arakawa ha studiato anche medicina e biofisica), collegate tra loro e articolate, hanno un’unica finalità: sviluppare una maggiore consapevolezza della propria mente, del proprio corpo e della percezione dello spazio.
Verso la fine degli anni Ottanta, Arakawa ha praticamente sospeso ogni attività espositiva, per passare, con Madeline Gins, alla progettazione di una architettura realizzata, o realizzabile, secondo determinati principi. “Noi concepiamo una architettura partecipe della nostra vita e della morte, non come un monumento o come una tana.
L’architettura deve adattarsi al nostro corpo come una pelle e dare al corpo tutto ciò che gli è necessario, per metterlo in grado di rimodellare il concetto di persona”, scrive Arakawa nel libro “Architectural Body” del 2002, un testo filosofico ma anche un manifesto in cui viene espresso un concetto sperimentale per un nuovo modo di esistere.
“Gli esseri umani devono anzitutto capire chi sono. La condizione umana è una condizione di crisi. La vitalità è intorpidita dalla paura della morte. La nostra è una sfida aperta con la nostra specie, sfida a riinventarsi e a desistere dal precludere qualsiasi possibilità, anche quelle giudicate impossibili”, affermava Arakawa nel 1997 nel volume “Revesible destiny: we decided not to die”, pubblicato in occasione della mostra antologica realizzata al Guggenheim Museum di Soho.
Arakawa e Gins dichiaravano di rifiutare sia l’estetica architettonica che la tradizionale funzionalità, per presentare esercizi che possano eliminare ogni distinzione fra la mente e il corpo. Secondo questi principi Arakawa e Gins hanno realizzato alcuni progetti. Il “Site Reversibile destiny-Yoro” è un parco di 7 acri realizzato nel 1995 nella prefettura di Gifu, in Giappone. Nei giardini, nei labirinti, nei viottoli ma anche nelle costruzioni si chiede al visitatore di camminare su piani scoscesi e con inclinazioni diverse e di dare un senso a discrepanze prive di senso come, ad esempio, agli oggetti dalle dimensioni anomale o disposti in modo del tutto inconsueto. Il risultato è una specie di labirinto cubista tridimensionale a molti livelli, che ha lo scopo di disorientare il visitatore.
Sempre in Giappone hanno realizzato “Ubiquitus Site – Nagy Royoanji”, un enorme cilindro inclinato: all’interno del cilindro viene ricreato, duplicandolo a tutto tondo, il primo giardino zen di Kyoto. Lo spiazzamento suscitato nel visitatore suscita in lui esperienze inaspettate sia percettive che sensoriali. Hanno poi disegnato la “Bioscleave house” a East Hampton, una villa privata con un corpo centrale, con sala, soggiorno e cucina, e con quattro ali (due camere uno studio e un bagno) di dimensioni identiche, ma orientate diversamente, che convergono al centro senza porte; un pavimento scosceso in terra battuta tipo “adobe” le unisce tutte.

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