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Birmania: militari assicurano, transizione sarà pacifica

(Keystone-ATS) Il regime militare birmano si è congratulato con la Lega nazionale per la democrazia (Nld, di Aung San Suu Kyi) per il suo trionfo elettorale e ha promesso una transizione pacifica nel passaggio di poteri. Un epilogo impensabile in Birmania fino a poco tempo fa.

Ye Thut, ministro dell’Informazione e portavoce del presidente Thein Sein, ha inviato un messaggio all’Nld in cui il governo si impegna a perseguire un avvicendamento al potere pacifico “conforme alla tempistica designata”. Secondo la Costituzione, il nuovo Parlamento voterà a fine gennaio tra tre candidati alla presidenza, due scelti dalle due Camere, uno dall’esercito. Il vincitore entrerà in carica a fine marzo.

Le rassicurazioni di Thein Sein, un ex generale messo al potere dall’esercito dopo le elezioni-farsa del 2010, dovrebbero fugare i persistenti timori riguardo la possibilità che i militari non onorino quella che si sta profilando una vittoria a valanga dell’Nld, simile a quella del 1990.

In quell’occasione, passata l’euforia popolare per il trionfo, la giunta militare semplicemente non lasciò mai che quella vittoria fosse seguita dalla nascita di un governo che rispecchiasse il voto, imprigionando migliaia di attivisti del partito di “mamma Suu”.

Stavolta i tempi sembrano diversi, e per l’Nld la conferma di controllare il Parlamento – nonostante il 25% dei seggi garantito ai militari dalla Costituzione – dovrebbe arrivare entro fine settimana. Un’assegnazione dei seggi inspiegabilmente lenta, tanto che l’Nld dubitava della buona fede delle autorità nel centellinare i dati definitivi, ha portato comunque a 256 seggi già attribuiti al partito: l’85,6% di quelli assegnati. Per vedersi garantita la maggioranza, serve arrivare a quota 329, una cifra che sembra ampiamente alla portata.

E proprio nel segno della gentilezza, Suu Kyi ha intanto chiesto formalmente un incontro a Thein Sein e al potente comandante in capo dell’esercito Min Aung Hlaing per la prossima settimana, “in qualunque momento le faccia comodo”. Da tali incontri, anche nei prossimi mesi, passerà gran parte del fondamentale lavoro di compromesso che attende Suu Kyi se il suo partito potrà davvero governare.

Ingraziarsi l’esercito è fondamentale: secondo la Costituzione da esso stilata, i militari – oltre alla nomina di un candidato presidente che in caso di mancata elezione diventerà vice – scelgono i ministri della Difesa, dell’Interno e degli Affari di frontiera. Qualsiasi questione in materia di sicurezza, in sostanza, rimarrà nelle loro mani.

È da vedere come questa realtà si scontrerà con le ambizioni della “Signora”, a cui la Carta preclude la presidenza in quanto vedova e madre di stranieri. Dopo che alla vigilia del voto aveva dichiarato di voler essere “al di sopra del presidente”, in un’intervista televisiva concessa ieri Suu Kyi ha dichiarato “Io prenderò tutte le decisioni perché sono il leader del partito vincitore. Il presidente dovrà capire di non avere autorità, e agirà in accordo con le posizioni del partito”. Una visione della nuova realtà birmana che, con tutte le promesse di transizione pacifica, difficilmente sarà in sintonia con quelle di militari abituati a comandare da mezzo secolo.

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