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CF: 1500 profughi da Italia e Grecia, 70 milioni di aiuti in più

(Keystone-ATS) Malgrado l’acutizzarsi della crisi migratoria, la Svizzera non aumenta il numero di rifugiati ammessi, preferendo accrescere gli aiuti sul terreno.

Il Consiglio federale ha annunciato oggi che Berna parteciperà al programma Ue di ricollocamento di 40 mila persone bisognose, accogliendo 1500 richiedenti asilo registrati da Grecia e Italia e provenienti da Siria, Iraq ed Eritrea. Queste sono parte del contingente di 3000 rifugiati già deciso dal Governo in marzo. Oltre a ciò, la Confederazione stanzierà altri 70 milioni di franchi per aiuti sul terreno.

“La solidarietà deve manifestarsi nei periodi difficili”, ha affermato in conferenza stampa a Berna la consigliera federale Simonetta Sommaruga, annunciando la partecipazione elvetica alla chiave di ripartizione europea.

La ministra di giustizia e polizia non ha peraltro mancato di criticare l’attuale gestione europea della crisi, definendola un “fallimento politico”. “L’Unione europea sta pagando per le proprie mancanze”, ha aggiunto la presidente della Confederazione.

Finora – ha proseguito – la Svizzera non è stata toccata dal grosso della migrazione, ma la situazione è in continua evoluzione e può cambiare rapidamente. Siamo di fronte alla maggiore crisi migratoria dalla Seconda guerra mondiale, ha rilevato.

Presupposto della partecipazione elvetica al primo programma di ricollocamento Ue è la corretta registrazione e identificazione dei migranti secondo l’Accordo di Dublino.

La Commissione europea ha nel frattempo proposto un secondo programma per distribuire entro due anni altre 120’000 persone bisognose di protezione provenienti dall’Ungheria, dalla Grecia e dall’Italia.

Finora l’Ue non ha preso una decisione al riguardo. Il Governo ha pertanto incaricato il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) di preparare, d’intesa con i Cantoni, una eventuale partecipazione elvetica a questa seconda tappa.

Berna ha inoltre incaricato il DFGP e il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) di sostenere, nei colloqui con l’Ue, l’idea di un meccanismo durevole e vincolante per ripartire in Europa le persone che necessitano di protezione.

Più aiuti sul terreno

“Di fronte a una tale crisi bisogna dar prova di modestia, non possiamo risolvere tutto dalla Svizzera”, ha da parte sua rilevato il consigliere federale Didier Burkhalter. Il Consiglio federale ha cercato di essere attivo, confermando la priorità umanitaria non solo della crisi siriana e irachena, ma anche di quella del Corno d’Africa, ha proseguito il ministro degli esteri.

I partner umanitari della Svizzera chiedono urgentemente maggiori fondi per migliorare l’approvvigionamento nei campi profughi e negli Stati ospitanti, in particolare la Turchia, riducendo la pressione che spinge i profughi a migrare nuovamente. Berna ha pertanto deciso di stanziare ulteriori 70 milioni di franchi, che andranno anche a sostenere interventi nel Corno d’Africa.

I fondi saranno pure destinati al processo di pace in Siria avviato dalle Nazioni Unite. La Confederazione intende inoltre mettere a disposizione dell’Onu i suoi buoni uffici e ha già dichiarato di essere pronta a ospitare il processo di pace a Ginevra, in linea con la propria politica di Stato ospite. Gli aiuti stanziati dalla Svizzera alla Siria, al Libano, alla Giordania e all’Iraq dall’inizio della crisi nel 2011 raggiungono 198 milioni di franchi.

Se si dovesse assistere ad uno spostamento verso la Svizzera dei flussi migratori, il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) si dice pronto a mettere a disposizione materiale e servizi e a collaborare all’ampliamento e alla gestione delle strutture attuali, nonché all’approntamento di nuove strutture.

Insieme col Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR), il DFGP sta inoltre valutando la possibilità d’impiegare nel settore dell’asilo più persone che prestano servizio civile.

Per il momento, secondo il Consiglio federale, una misura come i controlli sistematici alle frontiere non si giustifica né in termini materiali né dal punto di vista giuridico. Questa posizione è stata

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