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Cina: Amnesty denuncia repressione nel Xinjiang

Questo contenuto è stato pubblicato il 05 luglio 2011 - 07:23
(Keystone-ATS)

A due anni dalla rivolta del 2009, il governo cinese sta ancora mettendo a tacere le voci di dissenso nella tormentata regione del Xinjiang, abitata dalla minoranza etnica degli uighuri, di etnia turcofona e di religione musulmana.

Lo denuncia oggi Amnesty International a due anni dalle violenze che di verificarono a Urumqi, capitale della Regione autonoma del Xinjiang, dove gruppi di uighuri attaccarono i residenti cinesi, che a loro volta reagirono con violenza. Centinaia di condanne sono state comminate per i fatti del luglio 2009 e almeno nove condanne a morte sono state eseguite.

"La tendenza generale verso la repressione che vediamo in tutta la Cina è particolarmente pronunciata nel Xinjiang, dove la popolazione uighura è diventata una minoranza sulla sua stessa terra (a causa della massiccia immigrazione cinese)", ha affermato Sam Zarifi, direttore del gruppo umanitario internazionale per l'Asia Pacifico.

Dopo le violenze del 2009 la Cina ha aumentato gli investimenti nella regione, che però secondo gli uighuri vanno a beneficio esclusivo degli immigrati cinesi. Il Xinjiang, che confine con Pakistan, Afghanistan, India e Asia Centrale, è ricco di risorse naturali come petrolio, gas e carbone.

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