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Cina: misteriosa condanna all’ergastolo per ricco tibetano

(Keystone-ATS) SHANGHAI – Una condanna penale all’ergastolo, completamente avvolta nel mistero, è stata inflitta in Cina a Dorje Tashi, uno dei più ricchi uomini d’affari tibetani. Lo affermano, nel completo silenzio della stampa cinese, alcune organizzazioni non governative.
Proprietario dello Yak Hotel di Lhasa, Tashi è stato condannato al carcere a vita, oltre alla confisca di tutti i suoi beni, per un valore di circa 4 miliardi di yuan, pari a circa 676 milioni di franchi. Nello stesso processo, dicono le Ong, è stato condannato a sei anni di carcere anche il fratello maggiore di Tashi, Dorje Tseten. Nessuno sa quale siano le accuse rivolte ai due fratelli.
Dorje Tashi non ha mai svolto attività politica attiva. In passato ha ricevuto numerosi premi ed era anzi considerato molto vicino e amico di leader politici locali. Il suo ristorante principale a Lhasa era tra i preferiti da politici e funzionari governativi.
Nessuna notizia ufficiale finora è trapelata su cosa abbia determinato la caduta in disgrazia e l’inizio dei guai del businessman tibetano. Secondo alcune indiscrezioni, si tratterebbe di problemi connessi alle sue attività finanziarie, di accuse di corruzione. Ma se così fosse, i dettagli sarebbero già stati pubblicati sulla stampa locale. La mancanza di notizie ufficiali ha quindi aggiunto credibilità alla convinzione popolare che si tratti di problemi di natura politica. Tanto più che Tashi venne arrestato subito dopo le proteste del 2008 a Lhasa.
Sempre secondo indiscrezioni, Dorje Tashi sarebbe stato interrogato su sue presunte donazioni ai monasteri. Il che però non sarebbe sufficiente a giustificare una condanna così dura. Sin dalla metà degli anni novanta il partito scoraggia infatti questo tipo di donazioni che però non sono di per sè considerate dei reati.
Secondo altre indiscrezioni, Dorje Tashi avrebbe inviato anche soldi a Dharamsala, in India, sede del governo tibetano in esilio. Tutto insomma appare avvolto dal mistero, sopratutto considerando la severità della sentenza e la celebrità dell’accusato.

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