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Clima: c’è bozza accordo ma punti chiave ancora aperti

(Keystone-ATS) Dopo dieci giorni di negoziati, nella nuova bozza di accordo della Conferenza dell’Onu sul clima sui temi più critici e controversi ancora non c’è la posizione univoca in cui molti speravano.

Il testo rivisto è ben più corto di quello di fine settimana scorsa, 29 pagine invece di 48, ma ha ancora “troppe” parti su cui non c’è consenso, ammette il ministro degli Esteri francese e presidente della Cop 21, Laurent Fabius, davanti alla plenaria.

Per questo, l’imperativo a ministri e negoziatori è perentorio: mettersi al lavoro “immediatamente”, e “intensificare gli sforzi” sulle tre grandi questioni su cui il compromesso resta ancora lontano. Il che significa riunioni e meeting bilaterali per tutta la notte, per arrivare probabilmente a un nuovo testo domani in tarda mattinata.

I punti controversi, però, sono proprio quelli chiave per la riuscita della Conferenza. A cominciare dalla differenziazione, ovvero il riconoscimento del fatto che gli sforzi richiesti a ciascun gruppo di Paesi non debbano essere gli stessi.

Tutti concordano che il paradigma fissato negli anni Novanta, all’inizio del processo, vada rivisto, perché le condizioni economiche e sociali di alcuni sono drasticamente cambiate. Non c’è però intesa su quanto marcata debba essere questa revisione, soprattutto per nazioni in forte crescita come Cina e India, che alcuni Paesi avanzati vorrebbero veder fare di più sulla riduzione delle emissioni, e magari anche entrare nel gruppo dei fornitori di fondi per il finanziamento climatico.

In materia finanziaria il vero nodo è quello del cosiddetto sistema di “loss and damages” – ovvero il meccanismo di aiuto ai Paesi più vulnerabili per affrontare i cambiamenti “permanenti e irreversibili” che “vanno al di là di quello a cui ci si possa adattare” – e la questione delle popolazioni costrette a fuggire dalle aree più colpite. Su questo tema, il testo è rimasto invariato rispetto a sabato, e le trattative sono così serrate che le sessioni si tengono a porte chiuse, senza possibilità di accesso per gli osservatori della società civile.

“Una chiara indicazione che i Paesi sviluppati cercano di nascondere il loro cattivo comportamento”, commenta polemica Julie-Anne Richards, della rete di Ong Climate action network (Can), secondo cui “un accordo che porta le popolazioni a soffrire per il cambiamento climatico e poi li lascia da soli a subire le conseguenze, senza adeguato supporto, non è un accordo sul cambiamento climatico”.

Infine, restano aperte le opzioni sulla soglia da fissare per il riscaldamento globale rispetto all’età pre-industriale: dire chiaramente 1,5 o 2 gradi, oppure trovare una formulazione che includa entrambi i valori, puntando a restare “ben al di sotto” di 2 e promettendo un “incremento dello sforzo” per restare il più vicino possibile a 1,5, ricordando che questo è già “ad alto rischio” per “alcune regioni ed ecosistemi vulnerabili”.

Al di là della formulazione però, sottolineano ancora le Ong, ciò che conta è fare in modo che gli impegni nazionali sulla riduzione delle emissioni siano sufficienti a tradurre l’obiettivo dalla carta alla pratica. Diventa cruciale il momento in cui la revisione degli impegni sarà fissata.

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