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Corbyn rimonta e promette un milione di posti di lavoro

Il leader laburista Jeremy Corbyn in rimonta. KEYSTONE/EPA/WILL OLIVER sda-ats

(Keystone-ATS) Sale la temperatura in Gran Bretagna nello sprint verso il voto dell’8 giugno. E il leader laburista Jeremy Corbyn, in rimonta sulla premier conservatrice Theresa May, si è giocato il jolly, evocando la formula magica del “milione di posti di lavoro” in più.

May ha replicato martellando sull’obiettivo del taglio dell’immigrazione grazie al presunto destino “luminoso” post Brexit del Regno. La premier deve però fare i conti con lo scandalo delle spese elettorali illegali che s’allunga sul suo partito e con le critiche per l’atteggiamento timido imputatole nei riguardi dello strappo di Donald Trump sul clima.

Il leader laburista è parso deciso a sfruttare il trend favorevole dei sondaggi e le difficoltà di lady Theresa. Sa che il sorpasso non c’è ancora stato e forse non ci sarà, ma intravvede un risultato che nessuno si aspettava da lui: la possibilità concreta, se non altro, di limitare la vittoria annunciata dei Tories, tramutandola in una vittoria di Pirro.

È andato così all’attacco a tutto campo, puntando su un programma di rilancio dello stato sociale, di spesa pubblica e di equità fiscale che ha suscitato riserve fra alcuni esperti e spaventato l’establishment, ma che risponde alle domande e ai malesseri di molti sudditi abbandonati a loro stessi in questi anni di austerità.

L’ultima scommessa è sul milione di “buoni posti di lavoro” che il Labour si impegna a creare con una politica di investimenti, laddove mai dovesse davvero riconquistare Downing Street.

L’accento è stato tutto su quell’aggettivo, “buoni”, che ha richiamato l’idea di posti non precari in un Paese in cui la ripresa ha portato l’occupazione a livelli record, secondo le cifre ufficiali della macroeconomia, ma spesso incerti e talora sottopagati.

Parlando da York, nel malandato nord dell’Inghilterra, Corbyn ha delineato, in barba a chi lo accusa di voler gonfiare il debito pubblico, il progetto di “una banca nazionale di investimento” in grado di iniettare col tempo nel settore industriale fino a 250 miliardi di sterline.

Idee (o sogni, a seconda dei punti di vista) su cui il Labour potrebbe trovare la sponda degli indipendentisti scozzesi dell’Snp di Nicola Sturgeon. La quale continua a credere che alla fine May riuscirà a strappare una maggioranza ai Comuni.

Frattanto i Tories devono guardarsi, oltre che dai sondaggi, da un’improvvisa sfilza di guai. La tegola di oggi è arrivata da Craig Mackinlay, deputato del collegio di South Thanet, nel Kent, incriminato nell’inchiesta sulle spese elettorali d’oro.

Mentre sulla premier piovono rimbrotti anche per la reazione al voltafaccia americano sull’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Decisione di cui May si è detta “delusa” in una telefonata con Trump, ma sottovoce e senza firmare la lettera di “condanna” con Italia, Francia e Germania. Tanto da attirarsi l’accusa di Corbyn d’aver ormai tradotto la relazione speciale con gli Usa in “sudditanza” al cospetto di “The Donald”.

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