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Coronavirus: 8060 casi, Ticino bacchettato su stretta

I casi di coronavirus in Svizzera sono in rapido aumento. KEYSTONE/GIAN EHRENZELLER sda-ats

(Keystone-ATS) I casi di coronavirus in Svizzera sono in rapido aumento. Secondo i dati odierni dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) sono ora 8060, ovvero 1046 in più rispetto a 24 ore fa, con 70 morti.

La Confederazione ha inoltre fatto sapere che alcune delle ultime disposizioni del Ticino sono contrarie al diritto federale.

Per quanto riguarda il bilancio delle vittime, potrebbero esserci altri decessi legati al Covid-19, ma si attendono i risultati ufficiali delle analisi. La situazione più critica rimane quella in Ticino, con 1165 persone in totale positive al virus e 11 morti in più rispetto a ieri.

L’incidenza della malattia (casi per 100’000 abitanti) in Ticino ha raggiungo il dato di 326,9. Il cantone italofono è seguito da Vaud (235,3) e Basilea Città (222,8).

Seimila test quotidiani

“Oltre 6000 test vengono svolti ogni giorno”, ha affermato in conferenza stampa a Berna Daniel Koch, capo della divisione malattie trasmissibili dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), ricordando che gli esami vengono effettuati in maniera mirata. Quando arriverà altro materiale, il volume sarà aumentato, ha precisato l’esperto.

Secondo Koch è troppo presto per speculare sull’andamento della curva dei contagi. Il numero di letti per i ricoveri sta venendo ampliato, così come quello nei reparti di terapia intensiva, e non ci sono notizie di cantoni arrivati al limite della capacità.

Ticino è andato oltre diritto federale

Riguardo alle ultime misure annunciate dal Ticino, come la chiusura di industria e cantieri, Martin Dumermuth, direttore dell’Ufficio federale di giustizia (UFG), ha dichiarato che si tratta di provvedimenti non conformi al diritto federale. Le imprese interessate potrebbero opporsi a tali disposizioni e la concessione del lavoro ridotto per gli impiegati di queste aziende potrebbe essere problematica.

Sul lavoro ridotto si è anche espresso Boris Zürcher, capo della Direzione del lavoro della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), che ha sottolineato una volta di più l’esplosione delle richieste in questo senso. Pure in questo campo spicca il Ticino, dove per oltre un quarto dei dipendenti è già stata inoltrata una domanda.

A livello svizzero, in marzo per ora 21’000 aziende hanno richiesto il lavoro ridotto. Sono interessati 315’000 collaboratori, ovvero il 6% del totale. Zürcher si attende che il numero continui a crescere: l’apposito formulario è stato “ridotto al minimo per facilitare la procedura”.

Gli specialisti si aspettano che il tasso di disoccupazione annuo salga al 2,8%, ma per Zürcher non è escluso che la soglia del 3% venga superata. Con lo strumento del lavoro ridotto – ha messo in evidenza – si vogliono limitare il più possibile i licenziamenti.

Almeno in 15’000 bloccati all’estero

Hans-Peter Lenz, responsabile del Centro di gestione delle crisi del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), ha da parte sua riferito sugli svizzeri bloccati in un Paese straniero. Al momento si è a conoscenza di 15’000 viaggiatori: “Sarà la più grande operazione di recupero mai realizzata dalla Svizzera”, ha detto il funzionario.

Si stanno organizzando diversi voli di ritorno da Paesi dell’America Latina. Circa 750 persone dovrebbero essere riportate in patria con dei charter da Perù, Colombia e Costa Rica. La priorità, ha proseguito Lenz, viene data ai turisti, poi agli svizzeri stabiliti all’estero.

Sollecitato dai media sul caso di Verbier (VS), località che i medici della regione hanno domandato di mettere interamente in quarantena, Dumermuth ha detto che la competenza in materia non è cantonale. Stando a Koch la Confederazione non ha ancora preso una decisione su questa particolare situazione.

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