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Da Corea Sud Hubo, robot androide più versatile al mondo

Il robot Hubo. KEYSTONE/LAURENT GILLIERON sda-ats

(Keystone-ATS) Può guidare un’automobile in autonomia, salire e scendere sulle sue gambe, senza essere telecomandato, da scale ma anche macerie e terreni scoscesi e malfermi, ma anche spostarsi su ruote; può rimuovere ostacoli, aprire porte o bocchettoni: è Hubo, un robot androide.

Interamente progettato e fabbricato artigianalmente dai laboratori del Kaist (Korean Advanced Institute for Science and Technology), istituto di ricerca tecnologica di eccellenza di Daejeon, la ‘capitale’ dell’hi-tech della Corea del Sud.

Un robot alto 1 metro e 70 per 80 chili, strutturato in alluminio, che lo scorso anno ha vinto il primo premio da 2 milioni di dollari al Darpa Robots Challenge, in California, un concorso promosso dalla Difesa Usa. Una serie di sfide e di obiettivi che permettevano di valutare dove la macchina è in grado di sostituire l’uomo in situazioni difficili: per esempio, sul luogo di disastri, cantieri pericolosi, situazioni estreme, dove le carte vincenti sono quelle dell’affidabilità e dell’adattabilità.

E dove gli altri robot cadevano a terra e diventavano quindi inutilizzabili, Hubo restava in piedi, manteneva l’equilibrio camminando sulle macerie. E dove doveva muoversi velocemente, su terreni piani o regolari, poteva mettersi in ginocchio e spostarsi su ruotine. E, seppure non ancora in grado di rialzarsi da solo, Hubo è tuttavia capace di ridurre i danni cadendo a terra: “Quando sente che sta perdendo il baricentro e non lo può recuperare – spiega all’agenzia italiana ANSA nella sede Kaist a Daejeon il ‘papà’ di Hubo, il professor Jun Ho-oh -, si rannicchia e ‘rilassa’ i meccanismi che sostituiscono i muscoli”.

Ricevute le istruzioni fondamentali dall’operatore, che al concorso Darpa si trovava a 500 metri di distanza e aveva pochi secondi di operatività in un’ora di prova per comunicare con lui e che non può vederlo, l’androide sudcoreano, che pure può essere telecomandato come un drone, è capace di agire in autonomia.

E come tale può dirci molto su dove è arrivata la capacità delle macchine di sostituire l’uomo. Con i suoi sensori e i suoi scanner – dice il professor Jun – Hubo elabora un’immagine vettoriale e con l’occhio-telecamera invia un’immagine a bassa risoluzione, per permettere all’operatore, quando a questi è consentito di comunicare con lui – di capire le operazioni da compiere prioritariamente: una cosa che l’automa non è in grado di decidere. “È in grado di aprire una porta girando la maniglia o di chiudere un rubinetto. Ma mentre per noi queste sono operazioni semplici, automatiche”, di impegno fisico nullo e inesistente dal punto di vista mentale, “Hubo deve confrontare ciò che vede con le sue banche dati, allineare perfettamente l’asse del suo braccio a quella della maniglia, bilanciare la forza, ecc, altrimenti romperebbe la maniglia”.

E così anche l’incedere su terreni accidentati – per ogni passo Hubo deve scannerizzare, valutare, calcolare pendenza, stabilità del terreno ed equilibrio – è un’operazione che richiede tempi e un impegno che di umano hanno poco. Ma è un piccolo miracolo.

Finora sono stati venduti, al prezzo di 500 mila dollari l’uno, 25 esemplari, tutti all’estero e tutti per ricerca. “Ma per ora non ha un valore commerciale. C’è ancora una distanza gigantesca fra ciò che un robot può fare e quello che la gente vorrebbe che facesse”, conclude Jun. Insomma, chi teme che gli automi possano sopraffare l’uomo può stare tranquillo, per ora.

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