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Fuga verso beni rifugio

(Keystone-ATS) La corsa all’oro non accenna ad arrestarsi. La crisi dei debiti pubblici e le pesanti perdite sui mercati azionari spingono sempre di più verso i beni rifugio, e il metallo giallo è il preferito. Oggi ha toccato un nuovo record, l’ennesimo degli ultimi giorni, sfondando quota 1.880 dollari all’oncia. Avanzano pure platino, argento, e perfino i meno preziosi rame e nickel. I

nversione di rotta anche per i cereali, in recupero dopo una serie di cali, ma a fare da tarino sono semplicemente le previsioni su una forte diminuzione dei raccolti. Insomma, c’è movimento sul mercato delle materie prime e ad avvantaggiarsene è sopratutto l’oro: il valore di oggi è superiore per oltre il 30% a confronto con i livelli registrati a inizio anno. Basti pensare che il metallo ha aggiornato il suo massimo per più volte in una sola giornata, dopo la volata record di ieri.

Fa bene anche l’argento (intorno ai 42 dollari l’oncia), seppure ancora distante dai valori più alti (50 dollari). Anche in questo caso si tratta dell’ennesimo rialzo nel giro di pochi giorni. Anche metalli meno nobili, però, guadagnano. Se, infatti, da un lato i timori per l’andamento dell’economia nei Paesi industrializzati non cessano, dall’altra le ipotesi di una crescita che si manterrà sostenuta nei Paesi emergenti hanno tenuto banco, tirando su i prezzi di altre materie prime, come il rame (a 8.830 dollari a tonnellata), il nickel (a 21.500 dollari a tonnellata) e l’alluminio.

La giornata è stata positiva, al contrario del trend dell’ultimo periodo, anche per i cereali, con rialzi per grano, mais e soia. Ma ha incidere sugli aumenti non sono previsioni di crescita. I rincari hanno risentito, infatti, di raccolti che in Usa saranno probabilmente inferiore alle stime, anche a causa del maltempo che ha colpito parte del territorio statunitense.

Il greggio, invece, conferma i segnali di preoccupazione per l’economia e, oggi, anche lo spettro della recessione, scendendo fino ad un minimo di giornata di 79,17 dollari. Il prezzo, risalito a 82 dollari in chiusura ma solo come conseguenza della svalutazione del dollaro, resta quasi del 10% inferiore rispetto al gennaio del 2011.

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