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GB: mummie in cantina per proteggerne privacy

(Keystone-ATS) Mummie in cantina per i musei britannici. E se non in cantina o in soffitta o in magazzino, comunque al riparo degli occhi indiscreti del pubblico. È una nuova misura dettata per proteggere la privacy dei morti, anche se morti da 3.000 o 4.000 anni. Così, ad esempio, si sta preparando a fare il museo di Bristol per le sue storiche salme.

I sarcofagi della collezione egizia, un tempo lasciati aperti con il corpo in bella vista, a Bristol saranno tenuti semichiusi quando entreranno in vigore nuove linee guida messe a punto dai curatori della sezione perché “è più rispettoso”. Ai visitatori sarà consentito vedere fotografie di corpi mummificati senza i bendaggi solo per esplicita scelta: sono tenute al buio, bisognerà accendere la luce della saletta in cui sono esposte.

Altrove nel museo c’è uno scheletro di un giovane uomo dell’età del bronzo datato a 3.400 anni fa: è adesso esposto in una teca con la didascalia che avverte che “all’interno ci sono resti umani”.

La cautela di Bristol non è un approccio isolato: a Manchester di recente le mummie egiziane erano state velate con lenzuoli bianchi che poi sono stati tolti a furor di popolo. Altre istituzioni come il Museum of London nella City hanno sfrattato gli scheletri dalle sale principali: in linea di principio, vengono collocati in ale secondarie per consentirne “la privacy”.

Sono scelte che oggi sull’Independent vengono criticate perché troppo all’insegna del “politicamente corretto”. In realtà, secondo un sondaggio commissionato da English Heritage citato dal giornale, il 90 per cento del pubblico non ha alcun problema a vedere le mummie.

Anzichè dalla richiesta della gente, la nuova sensibilità deriva dalle posizioni ideologiche dei curatori in risposta alle campagne di gruppi indigeni, antropologi e archeologi negli Stati Uniti, Canada, Australia e Asia: “Lì – scrive il giornale – ci sono posizioni militanti per il rimpatrio di resti umani a gruppi culturalmente affini o come modo di risarcire popolazioni per i danni subiti dalla colonizzazione dell’uomo bianco”.

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