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Giappone-Cina: premier Kan e Wen tornano a parlarsi

(Keystone-ATS) TOKYO – Giappone e Cina tornano a parlarsi, direttamente: i rispettivi premier, Naoto Kan e Wen Jiabao hanno avuto un breve colloquio a Bruxelles, a margine del vertice Asia-Europa (Asem), concordando sulla “necessità di rafforzare le relazioni bilaterali”.
Tokyo e Pechino, ha riferito Kan poco prima del suo rientro anticipato per seguire il passaggio parlamentare delle misure a sostegno dell’economia, riavvieranno colloqui ai livelli più alti su base regolare, oltre a convenire sulla opportunità di “evitare il deterioramento delle legami reciproci”, migliorare i rapporti bilaterali in termini di promozione dello sviluppo in settori strategici nell’ottica di una relazione “reciprocamente benefica” e riprendere “gli interscambi culturali e civili”.
Kan, riferendo dell’incontro di 25 minuti avvenuto in un “corridoio al di fuori della sede della conferenza” dopo una cena di lavoro, ha spiegato di aver ribadito alla controparte cinese che le isole di Senkaku “sono parte integrante del territorio del Giappone”.
In ogni caso, “è un obbligo per i paesi vicini prendere azioni responsabili per rafforzare la fiducia e istituire le basi per la pace e la stabilita”‘, ha concluso, nel resoconto dei media nipponici. L’incontro tra i due leader potrebbe portare alla svolta nei rapporti in vista del vertice Apec di Yokohama, a sud di Tokyo, in programma il 13-14 novembre prossimi.
Il dialogo sembra riaffacciarsi tra le due potenze economiche dell’ Estremo Oriente, con il primo faccia a faccia ai massimi livelli da quando i rapporti tra i due paesi si sono incrinati a causa della collisione del 7 settembre tra un peschereccio cinese e due motovedette giapponesi al largo delle acque delle Senkaku, isole in pieno mar Cinese orientale a sud di Okinawa controllate da Tokyo, ma rivendicate a Cina e Taiwan.
L’arresto del capitano del peschereccio, con l’accusa di aver deliberatamente causato lo speronamento, aveva portato a un crescendo degli attriti che neanche la sua liberazione, dopo 16 giorni erano stati sufficienti a placare le ire di Pechino. Che, nel frattempo, aveva provveduto a misure di ritorsione di natura politica (il blocco di tutti colloqui ‘ministerialì e di ogni altro livello), economiche, con il blocco di fatto delle esportazione di “terre rare” (i preziosi minerali indispensabili per l’hi-tech nipponico di cui la Cina detiene il 97% della produzione mondiale) e una stretta sulle ispezioni doganali sui beni da e per il Giappone.
Fino all’arresto di quattro cittadini nipponici, dipendenti di una società di costruzioni, per aver filmato siti militari, in violazione della leggi sulla sicurezza delle strutture ritenute “sensibili” per la sicurezza nazionale.

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