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Kirghizistan: Bakiev non cede; Roza, Mosca ci aiuti

(Keystone-ATS) BISHKEK – Braccio di ferro non concluso in Kirghizistan. Da Bishkek l’opposizione dichiara di avere il controllo del paese, ma a sud, dalla sua roccaforte di Osh, il presidente Bakiev rifiuta di cedere il potere, denuncia “un golpe orchestrato dall’esterno” ma si dice pronto al dialogo con gli autori della sollevazione. Mentre la parola sulla soluzione della crisi, pare passare al di fuori del paese, tra Russia e Stati Uniti.
Nella mattinata di ieri Roza Otunbayeva, alla guida del governo provvisorio istituito dopo la rivolta popolare, aveva assicurato di avere in mano, oltre alla capitale, “4 regioni su 7”. L’esecutivo formato mercoledi sera si era già messo al lavoro, promettendo di rivedere privatizzazioni “sospette”, abbassare le bollette elettriche – una delle micce della rivolta – e “nuove elezioni presidenziali entro 6 mesi”.
Esercito e polizia sono passati dalla parte degli oppositori, aiutandoli a mantenere l’ordine a Bishkek, dove la situazione resta tesa: non si fermano i saccheggi, e il ministro degli Interni, Bolot Sherniazov, avrebbe dato ordine ai propri uomini di sparare sugli “sciacalli” recidivi. Poi il colpo di scena.
Dal sud del paese, dove si trova la sua base elettorale, parla a ripetizione Kurmanbek Bakiev, il presidente cacciato ieri dal suo trono. “Non riconosco la sconfitta, anche se non ho leve per influenzare la situazione nel Paese”, dice all’agenzia kirgiza 24KG. Poi a radio Eco di Mosca avverte: “È un colpo di stato, la responsabilità cade sull’opposizione che dovrà risponderne secondo legge. Dietro i loro “baccanali” ci sono forze esterne che vogliono destabilizzare il paese”.
Sembra un riferimento chiaro a Mosca, ma ieri sera nuova dichiarazione all’agenzia Reuters: “Non posso dire che la Russia sia implicata, non voglio dirlo e non voglio neanche crederlo”. E aggiunge: “Nessuno ha il diritto di privarmi del mio mandato presidenziale ma se vogliono parlare, sono disposto a discutere con loro di qualsiasi cosa”.
Il premier russo Vladimir Putin dalla lontana Novosibirsk ieri ha telefonato a Otunbayeva, dandole il suo appoggio. Un mese fa la leader della protesta con altri esponenti dell’opposizione si era recata a Mosca incontrando dirigenti del partito al potere Russia Unita. Putin le ha promesso aiuti umanitari, mentre inviava 150 paracadutisti a Kant, il presidio militare di Mosca in Kirghizistan. E Otunbayeva ha deciso di inviare per colloqui a Mosca il collega Almazbek Atambaiev.
Ma la partita evidentemente si gioca su due fronti. Nel pomeriggio Otunbayeva incontra l’ambasciatore americano a Bishkek. Rassicurandolo: la base di Manas resterà aperta. “Non cambierà nulla, e ogni decisione futura in merito sarà equilibrata, secondo gli interessi del nostro paese”, ha precisato respingendo le speculazioni sulla possibile chiusura dell’insediamento militare statunitense. Anche se una fonte a lei vicina suggerisce che il contratto di affitto della base Usa potrebbe essere ridotto temporalmente.
Da Praga, dove hanno firmato lo Start 2, Obama e Medvedev sottolineano che la stabilità del Paese è questione di comune interesse e a fine giornata è la Casa Bianca a sollecitare il ritorno dell’ordine.
Resta spaccato in due il Kirghistan, tra nord e sud, zone urbane più ricche e sviluppate contro campagna e villaggi poveri. E come in Iran la rivoluzione, o controrivoluzione, corre su Twitter: attraverso il suo blog Otunbayeva aggiorna i supporter. Per oggi e domani annuncia due giornate di lutto per le vittime degli scontri.
Ancora da Mosca, Medvedev, al telefono col collega kazako Nursultan Nazarbaiev (che ha chiuso le frontiere coi vicini kirghizi), chiede di “mettere fine allo spargimento di sangue”. Il conto dei morti arriva a 75, almeno mille i feriti, i primi aiuti medici sono arrivati proprio da Manas. E oggi a Bishkek è atteso l’emissario del segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, lo slovacco Jan Kubis.

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