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La Brexit è fatta, ma la sfida con l’Ue inizia ora

La Brexit è ovviamente il tema principale oggi sui giornali britannici. Keystone/AP/ALBERTO PEZZALI sda-ats

(Keystone-ATS) Il primo giorno del Regno Unito fuori dall’Ue è un sabato come tanti, battuto dal vento e con squarci di sole nel cielo di Londra.

Chi voleva celebrare ha celebrato, chi voleva versare lacrime lo ha fatto, le piazze si sono svuotate e i palazzi della politica sono deserti come fosse un weekend qualunque.

Ma oltre il capitolo di storia che nella notte si è chiuso – e ben difficilmente potrà essere riaperto, certo non da questa generazione – la nuova partita inizia ora: col negoziato cruciale sulle relazioni future e i commerci già segnato da un clima in cui i messaggi pubblici concilianti s’incrociano col gioco tattico delle indiscrezioni su ipotetiche minacce di scontro. Da una parte e dall’altra.

Archiviata senza eccessi di trionfalismo la soddisfazione del traguardo raggiunto, Boris Johnson si prende una pausa. Gli basta l’appello all’ottimismo lanciato ieri alla nazione e il richiamo “all’alba d’un nuovo inizio”, ma anche quello all’unità e al superamento delle divisioni che attraversano il Regno non senza reazioni di risentimento in grado d’alimentare potenzialmente le pulsioni centrifughe dell’Irlanda del Nord e soprattutto della Scozia.

Dietro i discorsi ecumenici il Daily Telegraph, giornale amico, svela però la presunta intenzione del premier conservatore di giocare duro, adesso, al tavolo con Bruxelles. O di andare al bluff.

L’idea sarebbe quella di ventilare – in caso di ‘no deal’ a scoppio ritardato, al termine dei negoziati commerciali e della scadenza della transizione nello status quo fissata al 31 dicembre 2020 – una reazione con controlli di dogana rigidi su tutte le merci europee. Quasi un ricatto, un’arma di pressione per provare a forzare la mano al team negoziale guidato dal finora imperturbabile Michel Barnier.

Minaccia che potrebbe rivelarsi peraltro spuntata, dati i rapporti di forza e gli interessi reciproci in ballo. E a cui del resto l’Ue è già pronta a rispondere – stando al Guardian – prendendo di mira Gibilterra (dossier delicato per la sovranità che il Regno si vanta di aver riconquistato), che verrebbe esclusa da qualunque intesa economica a meno di un qualche compromesso di Londra con Madrid sulle rivendicazioni spagnole.

Le intenzioni reali si chiariranno a partire dalle prossime settimane. Per ora, scattata la fase transitoria, non cambia quasi nulla, tranne la fine della presenza istituzionale britannica a Bruxelles e la fuga in avanti dell’isola di Guernsey, territorio della Corona nel canale della Manica che fin da subito ha deciso di negare l’accesso delle sue acque ai pescatori francesi.

Ma il tempo della transizione, 11 mesi appena in mancanza di proroghe che al momento il governo Johnson rifiuta, appare breve per questioni complesse e intricate. Tanto che Barnier ha annuncia già da lunedì una bozza per il suo mandato, avvertendo che “gli interessi dell’Unione, di ogni Stato membro e dei cittadini verranno prima” di tutto.

Intanto la stampa del Regno si esercita nelle previsioni. Con i tabloid destrorsi, tradizionalmente vicini agli umori popolari isolani più euroscettici, ben disposti a inneggiare al sol dell’avvenire del divorzio a colpi di titoli uguali e contrari a quelli sfoggiati nel 1973 per esaltare l’ingresso nell’allora Comunità economica europea: quando il progetto comunitario era quasi solo mercato, a sostenerne le ragioni era l’establishment Tory e a contrastarlo la sinistra laburista.

E con testate progressiste come il Guardian a paventare invece “le incertezze del futuro” e ad affidare alla penna dello scrittore Ian McEwan, militante pro Remain, un commento desolato contro “l’insensata e masochista ambizione” che avrebbe ispirato la Brexit.

Sul Times, a rivolgersi ai britannici, si fa vivo nel frattempo con una lettera aperta il presidente francese Emmanuel Macron: “profondamente triste”, scrive, per una separazione che continua a deplorare; ma che comunque si rifiuta di considerare alla stregua di un muro, né gli impedisce di ammettere la necessità di riforme e “nuovo slancio” pure per l’Ue.

Un’Unione che d’altro canto secondo Romano Prodi, ex presidente della Commissione, s’è comportata finora “splendidamente” di fronte alla Brexit e, chissà, è l’auspicio, potrà persino riaccogliere il Regno. Se mai volesse rientrare “fra 15 o 20 anni”.

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