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Macron, un mese da imperatore all’Eliseo. E qualche ombra

Il presidente francese Emmanuel Macron (foto d'archivio). KEYSTONE/AP/THIBAULT CAMUS sda-ats

(Keystone-ATS) Un mese da “imperatore”: il presidente francese Emmanuel Macron taglia il suo primo traguardo senza ostacoli e quasi senza voci dissonanti.

In gran parte perché la sua maggioranza è schiacciante (resta la suspense soltanto per 104 deputati domenica al ballottaggio delle legislative), ma anche perché il trentanovenne governa in modo estremamente personalistico, senza esitazioni e a passo di carica.

Non manca qualche crepa in un paesaggio dall’apparenza troppo compatto per essere del tutto veritiero: due ministri hanno già tenuto banco con i loro “affaires” sulle temibili pagine del Canard Enchainé, il giornale satirico cacciatore di scandali.

Prima Richard Ferrand, segretario di En Marche! e ministro della Coesione territoriale, coinvolto in seccanti vicende di interessi personali nella gestione – alcuni anni fa – della cassa mutua della Bretagna. Ora tocca al centrista Francois Bayrou, che ha presentato la sua legge di “moralizzazione della politica” mentre veniva investito dalle accuse ormai dilaganti fra i politici di aver stipendiato dipendenti propri o del partito (il MoDem) con denaro pubblico (in questo caso dell’Europarlamento). Due casi che il governo ha fatto di tutto per chiudere senza troppo clamore, anche se dalla tensione che si avverte fra i due protagonisti e la stampa c’è del fuoco che cova sotto la cenere.

Il rapporto con i giornalisti è un altro dei punti dolenti del primo mese di presidenza Macron. Il suo staff ha cominciato con il piede sbagliato, prima “scegliendo” gli inviati da portare nel primo viaggio all’estero (in Mali), poi lasciando più di una volta che Ferrand rispondesse ai giornalisti che lo incalzavano con domande sulla sua vicenda personale in modo sprezzante e arrogante. Non in linea, insomma, con il “macronismo”, parola diventata già simbolo di una miscela di carisma, spirito elitario, indubbie capacità, ma anche di poca disponibilità al dialogo e all’apertura.

Nell’ottica di una vittoria già definita da tutti “esagerata” – con oltre 430 deputati per il partito che governerà il Paese su un totale di 577 – i partiti tradizionali, grandi sconfitti, continuano a inviare appelli all’elettorato per tentare almeno in parte un riscatto, specie nelle 104 circoscrizioni dove tutto è ancora possibile, con scarti sotto i 5 punti fra i contendenti. L’esempio lo ha dato Patrick Mennucci, deputato socialista di Marsiglia eliminato già domenica: appoggerà al ballottaggio Jean-Luc Mélenchon, già acerrimo nemico, preferendo la sinistra più radicale a quella “governativa” del presidente, rappresentata da Corinne Versini.

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