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Mali, la rivolta dell’imam scatena il caos

La situazione è esplosiva in Mali. KEYSTONE/AP/Baba Ahmed sda-ats

(Keystone-ATS) Il Mali è sull’orlo del baratro, dopo un fine settimana di disordini mai visti negli ultimi anni nella capitale.

Nel paese del Sahel, soffocato dalla crisi economica e ostaggio del terrorismo jihadista, l’opposizione si è riversata nelle strade a Bamako per due giorni consecutivi con numeri imponenti, sotto la guida del carismatico imam Mahmoud Dicko, chiedendo le dimissioni del capo dello Stato, Ibrahim Boubacar Keita. La protesta è degenerata in scontri con le forze di sicurezza, che hanno provocato almeno 8 vittime civili e decine di feriti.

L’insoddisfazione nei confronti del 75enne presidente Keita, al potere da 7 anni, è cresciuta in modo esponenziale dopo le contestate elezioni legislative di marzo e aprile. Da quel momento una coalizione eterogenea di leader religiosi, personalità del mondo della politica e della società civile si è radunata attorno all’imam Dicko: un 66enne ex professore di arabo, formatosi alla dottrina salafita in Arabia Saudita e Mauritania. Conservatore quindi ma contrario all’estremismo, eccetto per alcune dichiarazioni ambigue che sono sembrate strizzare l’occhio ai jihadisti. Tanto che i suoi nemici lo hanno accusato di volere instaurare la sharia in Mali.

Sta di fatto che Dicko, potendo contare su un lungo stuolo di fedeli, è diventato il catalizzatore contro il regime di uno dei Paesi più poveri del mondo, dove la corruzione e la violenza interetnica dilagano. E dove non si riesce a respingere l’assalto dei miliziani jihadisti legati ad al Qaida e all’Isis, che dal 2012 hanno ucciso migliaia di soldati e civili, con centinaia di migliaia di sfollati. Nonostante l’intervento di una coalizione militare internazionale.

Venerdì scorso l’imam Dicko ha alzato il livello della protesta a “disobbedienza civile”. Migliaia di persone, per la terza volta in un mese, si sono radunate attorno alla sua moschea per la preghiera e per ribadire che il presidente deve andarsene. Poi però è scoppiato il caos. Alcuni manifestanti hanno tentato di occupare la tv pubblica ed hanno bloccato due ponti, appiccando incendi alle auto. Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco ed almeno 4 civili sono rimasti uccisi. Gli scontri sono proseguiti anche il giorno dopo, altri civili sono morti. Durante i disordini 4 leader dell’opposizione sono stati arrestati.

Il presidente Keita ha tentato di uscire dall’angolo. Il suo premier, per prima cosa, ha promesso di formare quanto prima un nuovo governo aperto alle istanze dell’opposizione. Il vecchio leader, con un ulteriore gesto di apertura, ha sciolto la corte costituzionale. L’organo era stato accusato dall’opposizione di aver pilotato l’esito delle elezioni di primavera a favore del partito al potere.

Anche l’imam ha cercato di raffreddare gli animi, chiedendo ai suoi di “non provocare e non attaccare nessuno”. “Per favore, mantenete la calma”, ha detto in un video diffuso sui social media. Sperando che quanto accaduto a Bamako negli ultimi due giorni sia stato sufficiente ad un effettivo cambio di rotta nella politica maliana. Non è detto, tuttavia, che l’appello alla calma verrà ascoltato dall’ala più radicale dei suoi sostenitori.

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