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Matrimoni forzati: coinvolti sempre più richiedenti asilo

Cresce il numero dei matrimoni forzati tra i richiedenti asilo sda-ats

(Keystone-ATS) L’ufficio che si occupa dei matrimoni forzati (Fachstelle Zwangsheirat) tratta sempre più casi in cui sono coinvolti richiedenti asilo. Nel 2016 sono arrivati sul suo tavolo 64 dossier che riguardavano questa categoria, contro i 26 dell’anno precedente.

Fra il 2005 e il 2015 le unioni coatte registrate tra i richiedenti asilo sono state 94. Fino a poco tempo fa, gli “asilanti” erano implicati nel 10% del totale dei casi di cui si è occupato il servizio specializzato in materia. Ora, precisa all’ats la sua direttrice Anu Sivaganesan, la percentuale è salita al 20%.

I matrimoni forzati concernono generalmente giovani donne, spesso minorenni, per cui questa pratica è usata soprattutto come una sorta di protezione. Per la maggior parte, sono originarie di Paesi come Siria, Afghanistan, Eritrea, Iraq, Iran e Somalia.

Sovente le persone sono obbligate a sposarsi negli Stati dai quali provengono o durante la tratta migratoria, aggiunge Sivaganesan, che cita l’esempio di una curda irachena. Il padre, secondo il quale la figlia si prendeva troppe libertà, l’ha portata in Turchia, imponendole un matrimonio organizzato. La giovane aveva intenzione di separasi dal marito al rientro in Svizzera, ma i genitori, intuendone i propositi, l’hanno portata nel Kurdistan iracheno.

L’afflusso di migranti non è la sola spiegazione dell’aumento di unioni coatte osservate. Stando a Sivaganesan, le persone che arrivano nella Confederazione, sapendo che lo stato di diritto funziona bene, sono più portate a difendere i loro diritti e le loro libertà e osano maggiormente cercare una soluzione al problema.

In alcune circostanze però, i matrimoni precoci e pianificati a tavolino si svolgono direttamente in Svizzera. Quasi sempre sono i genitori a mettere pressione sui figli minorenni, sia perché si tratta di una tradizione del Paese d’origine, sia perché ai loro occhi rappresentano un baluardo all’interno di una società occidentale che giudicano come decadente.

Il più delle volte si tratta di matrimoni religiosi che, una volta raggiunta la maggiore età delle vittime, possono avere un seguito davanti alle autorità civili. Non è infatti inusuale che queste, ormai rassegnatesi, acconsentano dopo alcuni anni a compiere questo ulteriore passo.

Dal 2013, forzare un matrimonio può essere sanzionato con una pena massima di cinque anni di carcere in Svizzera. Sivaganesan ritiene comunque che a livello religioso le autorità debbano essere più efficienti, in quanto il problema dell’età minima è regolarmente aggirato.

L’ufficio dei matrimoni forzati intende inoltre lanciare una nuova campagna di sensibilizzazione sul tema. La sua direttrice auspica anche che sia creato un posto di responsabile in seno al Dipartimento federale degli affari esteri per gestire casi come quello della giovane curda mandata in Iraq.

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