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Migranti: Corte Ue condanna Polonia, Ungheria e Rep. ceca

Un gruppo di migranti alla frontiera tra Serbia e Ungheria. Keystone/EPA MTI/ZOLTAN BALOGH sda-ats

(Keystone-ATS) Rifiutando di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti asilo creato nel 2015, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica ceca sono venute meno agli obblighi definiti dal diritto dell’Unione europea.

Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Ue, che ha accolto i ricorsi per inadempimento presentati dalla Commissione europea contro i tre Stati membri, i quali sono sono ora tenuti a conformarsi alla sentenza.

Da un lato, la Corte ha riscontrato l’esistenza di un inadempimento da parte dei tre paesi di una decisione che il Consiglio europeo aveva adottato il 22 settembre 2015 per ricollocare su base obbligatoria, dalla Grecia e dall’Italia, 120’000 richiedenti protezione internazionale verso gli altri Stati membri dell’Unione.

Dall’altro, i giudici hanno constatato che la Polonia e la Repubblica ceca erano venute meno anche agli obblighi derivanti da una decisione anteriore (14 settembre 2015) che il Consiglio europeo aveva adottato per il ricollocamento, su base volontaria, di 40’000 richiedenti asilo dalla Grecia e dall’Italia. L’Ungheria, invece, non era vincolata dalle misure previste da quest’ultima decisione.

Dopo l’adozione delle decisioni del Consiglio europeo per alleviare la pressione esercitata dai flussi migratori su Italia e Grecia, la Polonia aveva affermato di essere in grado di ricollocare rapidamente nel suo territorio 100 persone, senza però mai dare seguito a tale annuncio. L’Ungheria, invece, non aveva in alcun momento indicato un numero di persone che avrebbe accolto. Nel febbraio e nel maggio 2016, la Repubblica ceca aveva dichiarato di poter accogliere sul proprio territorio 50 persone. Di queste, solo 12 erano state effettivamente ricollocate dalla Grecia, senza che Praga assumesse nessun altro impegno.

Con la sentenza odierna, la Corte ha accolto i ricorsi per inadempimento presentati dalla Commissione europea contro i tre Stati membri, stabilendo che questi ultimi non possono invocare né le loro responsabilità in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna, né il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocamento per sottrarsi all’applicazione del meccanismo stesso.

Polonia, Ungheria e Repubblica ceca sono ora tenute a conformarsi alla sentenza. In caso contrario, la Commissione potrà proporre un altro ricorso chiedendo delle sanzioni pecuniarie.

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