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Processo Eternit: procuratore, Schmidheiny era padrone stabilimenti italiani

(Keystone-ATS) TORINO – “Stephan Schmidheiny sapeva di essere il padrone degli stabilimenti italiani e ha fatto di tutto per nasconderlo”. Lo ha detto il procuratore Raffaele Guariniello nel corso dell’udienza del processo Eternit in corso a Torino per accertare le responsabilità dei vertici dell’azienda sulle vittime dell’amianto, riferendosi all’imprenditore alla guida della casa madre svizzera dell’azienda.
La società, secondo una consulenza tecnica affidata da Guariniello a un esperto, Paolo Rivella, ha speso in quattro anni, dal 2001 al 2005, oltre un milione di euro per raccogliere informazioni sulla percezione dei rischi legati all’uso dell’amianto da parte della popolazione in Italia, archiviando articoli di stampa e collezionando informazioni anche sull’orientamento di alcuni magistrati rispetto al problema. “Il cuore di questo processo – ha sottolineato Guariniello – è: Schmidheiny era o no il padrone degli stabilimenti italiani? La nostra risposta è sì”.
Rivella, la cui consulenza è stata contestata dalla difesa perché non sufficientemente legata a specifiche competenze tecniche tali da giustificare l’intervento di un esperto, ha mostrato in aula una serie di documenti riferiti a incontri dei vertici aziendali in Svizzera a cui partecipavano anche i dirigenti delle controllate italiane, in cui sarebbero state esaminate anche le ricadute sull’immagine del marchio dei rischi che man mano emergevano per la salute dall’impiego dell’amianto, i cui effetti sull’opinione pubblica venivano presentati come una campagna da parte dei concorrenti per indebolire l’azienda.
La casa madre svizzera avrebbe diffuso anche un manuale destinato ai dirigenti italiani per gestione la comunicazione con l’obiettivo di contenere i timori sempre più diffusi. La strategia era spiegare che, usato correttamente, l’amianto non era pericoloso. Tutto questo dimostrerebbe, è la tesi della procura, che la casa madre svizzera non era semplicemente azionista di maggioranza negli stabilimenti italiani, ma il suo ruolo era operativo. Tanto che, consapevole dei rischi legati all’impiego dell’amianto, aveva pianificato una strategia di gestione di comunicazione per limitare i danni.
Nel processo aperto lo scorso dicembre Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis De Cartier de Marchienne sono accusati di disastro doloso e rimozione volontaria di cautele. Rischiano da 3 a 12 anni di carcere. Il processo a Eternit Italia è il più ampio che sia mai stato celebrato per questioni legate all’amianto: 2’889 le parti lese, tra familiari di deceduti (oltre 2’000 secondo l’accusa), eredi o persone che si sono ammalate per gli effetti della lavorazione dell’amianto negli stabilimenti italiani di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).

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