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Sika: azionisti confermano attuale Cda, ma si finirà in tribunale

(Keystone-ATS) I vertici di Sika sono riusciti oggi ad evitare che gli eredi dei fondatori assumessero la maggioranza del consiglio di amministrazione (Cda), avviando la cessione del controllo al gigante francese Saint-Gobain.

Ci sono riusciti incidendo pesantemente sui diritti di voto della holding famigliare Schenker-Winkler (SWH), ridotti per alcuni casi al 5%. L’assemblea degli azionisti svoltasi oggi a Baar (ZG) ha infatti riconfermato tutti i membri dell’organo di sorveglianza.

Come noto SWH vuole vendere la sua quota (del 16% del capitale ma di oltre il 52% dei diritti di voto) a Saint-Gobain per 2,75 miliardi di franchi, un prezzo di vendita assai superiore al valore di mercato delle corrispondenti azioni.

Dopo questo annuncio, avvenuto in dicembre, vari azionisti e i manager aziendali erano saliti sulle barricate, cercando di contrastare l’operazione. Ne è nato un contenzioso che è diventato anche subito giuridico.

Al centro dell’attenzione vi è ormai la famosa clausola di opting-out, norma statutaria che permette a Saint-Gobain – gigante con sede nell’omonima località della Piccardia che produce materiali per l’edilizia – di rilevare una quota determinante dell’azienda elvetica attiva nelle specialità chimiche senza lanciare un’offerta pubblica d’acquisto. Per contrastare questa azione il Cda di Sika aveva annunciato che avrebbe limitato al 5% i diritti di voto di SWH.

Detto fatto: nel suo discorso odierno agli azionisti il presidente di Sika Paul Hälg ha detto che fino a quando non sarà chiarita in modo definitivo la questione della liceità della limitazione di voto è nell’interesse dell’azienda che l’attuale consiglio di amministrazione si mantenga al timone. Questo perché dopo un’eventuale integrazione in Saint-Gobain non si potrebbe più tornare indietro.

Hälg ha anche messo in in guardia dalla possibile reazione negativa dei clienti. Secondo lui “numerose reazioni lasciano temere il peggio”: molti non farebbero più ordinazioni presso una Sika controllata da Saint-Gobain, perché si troverebbero in una situazione di concorrenza. Per l’azienda di Zugo questo si tradurrebbe in mancati introiti nell’ordine di 200 milioni all’anno.

La reazione della famiglia fondatrice non si è fatta attendere: per bocca del suo rappresentante Urs Burkard ha annunciato che adirà le vie legali. Secondo Burkard – che è anche membro del Cda di Sika – è nel pieno diritto della famiglia vendere la sua quota del gruppo a Saint-Gobain. Anche la clausola di opting-out è parte integrante degli statuti da anni. Dal momento che SWH ha potuto ricorrere a tutti i suoi diritti di voto, oggi è stata respinta una richiesta di abolizione della clausola presentata dalla fondazione Ethos.

I manager del gruppo francese non sono cavallette, ma partner affidabili, i posti di lavoro sono sicuri e l’azienda rimarrà svizzera, ha affermato il rappresentante di SWH. Il suo discorso è stato interrotto da fischi di disapprovazione. La battaglia si sposterà quindi nei tribunali: e Burkard si è detto pronto ad affrontare la sfida. “Anche se dovesse durare a lungo, siamo pronti”, ha concluso.

Burkard ha anche accusato il Cda di voler arbitrariamente togliere diritti a SWH e ha chiesto che la holding possa votare con oltre il 52% come da statuti. “Questo è un ultimo appello alla tua ragione, Paul Hälg”, ha affermato rivolgendosi al presidente, che ha però subito reagito con un “no”.

Proprio grazie alla limitazione dei diritti di voto Hälg resta ai vertici di Sika: è stato infatti confermato quale presidente del Cda con un tasso dell’86%. Gli altri membri delll’organo – sia quelli indipendenti sia i rappresentanti di SWH – sono stati rieletti con quote comprese tra l’83% e il 99% di sì. Non è stato invece eletto il candidato proposto dalla holding Max Roesle. La limitazione dei diritti di voto imposto alla famiglia fondatrice valeva solo per i membri indipendenti del Cda e non per i propri esponenti.

Intanto gli azionisti hanno negato con il 75% di no il discarico a Hälg e agli altri cinque membri indipendenti del Cda. I tre rappresentanti di SWH l’hanno invece ottenuto con il 92% di sì. In questo ambito i diritti di voto della famiglia fondatrice non erano limitati al 5%.

In conseguenza a ciò SWH ha la possibilità di avviare cause civili contro i singoli membri dell’organo di sorveglianza. Se questi avessero ottenuto il discarico, la holding avrebbe rinunciato in linea di principio a ricorrere alla giustizia nei confronti dei consiglieri indipendenti.

Con il 70% dei voti gli azionisti hanno pure respinto il rapporto sulle remunerazioni del 2014 e rifiutato gli indennizzi che il Cda avrebbe dovuto ottenere fino alla prossima assemblea generale.

Il braccio di ferro sta suscitando parecchio interesse negli ambienti economici elvetici. In ballo vi è infatti non solo un’entità forte di 17’000 dipendenti, bensì anche interessanti questioni di diritto societario che una volta risolte potrebbero avere un impatto anche su altre realtà aziendali.

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