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Siria: GB, avanti anche senza ONU, ma non subito

(Keystone-ATS) “Anche senza l’Onu”. Per Londra un passo indietro non è più possibile e, se il tentativo di trovare un accordo su un’azione in Siria nell’ambito del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovesse fallire, i britannici sono convinti che una risposta sia comunque necessaria. Non si deciderà domani però.

La mozione che il governo di Sua Maestà presenterà in parlamento non prevede un voto per un intervento militare, e riconosce la necessità per il consiglio di Sicurezza di “esaminare il rapporto sull’attacco chimico in Siria prima di esprimersi”. Si rimanda, quindi, quell’azione paventata da giorni dopo che, sull’impiego di armi chimiche da parte delle forze di Bashar al Assad, i leader di Usa, Gb e Francia in testa in consultazioni frenetiche si erano detti senza più dubbi.

Londra resta tuttavia in prima linea e risoluta, lo ha detto chiaramente oggi il ministro degli Esteri britannico William Hague mentre cominciava ad essere chiaro che una decisione lampo tra i membri permanenti del Consiglio di sicurezza riuniti a porte chiuse a New York fosse poco probabile: “Le discussioni all’Onu continueranno nei prossimi giorni” ma, ha ripetuto per tutto il giorno, “non fare nulla sarebbe troppo rischioso”.

“È la prima volta che armi chimiche vengono usate nel XXII secolo, non possiamo stare a guardare, dobbiamo impedire che ciò si ripeta”. “È un crimine contro l’umanità”, ha sottolineato Hague, aggiungendo che “la decisione per un eventuale intervento non è paragonabile a quella presa per l’Iraq”.

Questo il nodo nevralgico, il punto dolente per l’opinione pubblica britannica che non riesce ad ignorare quel precedente, dieci anni fa, e le sue conseguenze. Tanto che, pur nella condanna e nell’orrore espresso da più parti, secondo un sondaggio il Paese è diviso a metà: il 50% è contrario ad un attacco missilistico contro la Siria, mentre a sostenere l’eventuale azione militare è solo il 25%.

La giornata era partita con un altro ritmo. In mattinata il primo ministro britannico David Cameron aveva annunciato l’intenzione di Londra di presentare al Consiglio di Sicurezza una proposta di risoluzione “per l’autorizzazione di misure necessarie alla protezione di civili”. Tentativo, questo, di trovare una cornice legale per l’azione. Legalità quindi la parola chiave. Che a Londra deve adesso necessariamente passare per la prova di Westminster.

Cameron, consapevole delle insidie di un dibattito così spinoso, ha richiamato il parlamento dalla pausa estiva per discutere e nella speranza di ottenere sostegno ad una risposta che sia “legale, proporzionata e specifica”. Questi i principi alla base delle raccomandazioni su cui all’unanimità si è espresso oggi il consiglio di sicurezza nazionale riunito per l’emergenza.

Questa sera poi Ed Miliband, leader dei laburisti all’opposizione, ha chiarito la posizione del partito: “Non andremo in parlamento per dare carta bianca”, e sicuramente non prima che gli ispettori dell’Onu abbiano completato il loro lavoro sul campo.

Occorreranno almeno quattro giorni, fa sapere il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban ki Moon, chiedendo tempo. Intanto davanti a Downing Street compare il primo picchetto: non ancora il fiume di gente che attraversò Londra 10 anni fa per dire no all’intervento in Iraq rimanendo inascoltato, ma il fronte dei contrari comincia a palesarsi.

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