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Siria: si combatte alle porte di Damasco

(Keystone-ATS) Si combatte alle porte di Damasco: non perché i siriani in rivolta tentino di raggiungere il cuore del potere, ma perché le forze del regime hanno da 24 ore lanciato una massiccia offensiva per riprendere il controllo dei sobborghi nord-orientali della capitale, da settimane roccaforte della resistenza armata alla repressione in corso da undici mesi e che ha causato l’uccisione di migliaia di persone per lo più civili. Tra ieri e oggi, secondo il bilancio aggiornato e dettagliato degli attivisti, sono state uccise circa 120 persone, mentre sul piano diplomatico il dossier siriano sembra ormai passato di mano dalla Lega Araba al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si appresta a votare una risoluzione contro le violazioni commesse dal regime di Bashar al Assad. La Russia, oltre a rallentare la procedura che conduce alla discussione e al voto, ha già ribadito che si opporrà ad ogni presa di posizione dura nei confronti della Siria e che, se necessario, si avvarrà del diritto di veto.

Nel quadro dei tentativi russi di indebolire l’azione occidentale a favore dei rivoltosi in Siria, Mosca si è anche detta pronta a ospitare colloqui tra il regime di Damasco e rappresentanti di una non meglio precisata opposizione. Dal canto suo, il Consiglio nazionale siriano (Cns), principale piattaforma dell’opposizione all’estero che raggruppa anche gli attivisti dei Comitati di coordinamento locali in patria, ha affermato di non aver ricevuto alcun invito dalla Russia e che, in ogni caso, non è disposto a trattare con un regime che da quasi un anno uccide impunemente la sua gente. Concetto ribadito da noti dissidenti siriani a Damasco. Il governo siriano fornisce però una versione dei fatti assai diversa: a sparare sono da mesi bande di terroristi armate dall’Occidente, dalla Turchia e dai Paesi arabi del Golfo. Anche oggi, secondo l’agenzia ufficiale Sana, terroristi hanno sabotato un oleodotto nella regione centrale di Homs a ridosso della frontiera con il Libano. Sempre oggi, scrive la Sana, si sono svolti i funerali di 22 tra soldati e agenti uccisi ieri da bande criminali in diverse regioni del Paese.

Gli attivisti dei Comitati di coordinamento locale documentano invece, con video amatoriali e liste dettagliate di vittime, una realtà differente: da stamani all’alba sono cominciati bombardamenti con l’artiglieria pesante dei sobborghi nordorientali di Damasco: Hamuriye, Zamalka, Saqba, Kafr Batna, Arbin, tutti a pochi km in linea d’aria con il centro storico di Damasco e a una decina dal palazzo presidenziale.

L’obiettivo delle forze lealiste è quello di riprendere il controllo di zone da settimane in mano ai gruppi di disertori dell’esercito a cui si sono uniti i civili in rivolta. Uno scenario bellico analogo si registra nella zona montagnosa di Qalamun, a nord di Damasco, in particolare a Rankus. Così come nella regione centrale di Homs e in quella nord-occidentale di Idlib, tutte aree in parte fuori dal controllo di Damasco. Alle almeno 60 vittime di ieri si aggiungono le altre 60 registrate fino a stasera.

Tra queste figurano anche una donna e otto tra bambini e adolescenti. Nella regione di Homs si contano 46 morti. Attivisti riferiscono anche di oltre trenta carri armati dispiegati alla periferia di Aleppo, prima città della Siria e il cui centro è stato finora solo sfiorato dalle proteste. In mattinata si erano diffuse voci, non confermate da nessuna fonte autorevole degli attivisti e dell’opposizione, della fuga di non meglio precisati parenti del presidente al Assad, mentre secondo indiscrezioni provenienti dalla capitale, da ieri le forze di sicurezza hanno intensificato i controlli attorno all’aeroporto internazionale di Damasco per impedire a rappresentanti del governo di lasciare il Paese.

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