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Slovenia e Croazia verso chiusura confini dopo Austria

(Keystone-ATS) Nell’Europa che litiga sui profughi, ora si teme l’effetto domino. Dopo gli annunci dell’Austria, anche la Slovenia e la Croazia sono pronte a sospendere gli accordi di Schengen sulla libera circolazione in Europa.

In realtà Vienna aveva ristabilito i controlli sulle frontiere già nel settembre scorso, e va verso un proroga della misura, e il governo di Hans-Werner Faymann non esclude che il provvedimento possa riguardare anche il Brennero, cioè la principale frontiera con l’Italia. In questo scenario ad altissima tensione, il dito resta spesso puntato contro la Germania di Angela Merkel, attaccata sia dentro sia fuori casa.

Lubiana e Zagabria hanno annunciato che se Vienna dovesse confermare i controlli ai suoi confini, anche Slovenia e Croazia ripristinerebbero i controlli, e sarebbe necessario presentare i documenti alle frontiere. “Si tratta di un effetto domino, ha affermato il (probabile) futuro vicepremier del governo croato di prossimo insediamento Tomislav Karamarko – e l’Europa non potrà che prenderne atto. Non permetterò che la Croazia diventi un hotspot di migranti”.

“L’Austria ha istituito di nuovo controlli temporanei alle frontiere a settembre, e queste misure sono in vigore da quel momento”, sottolineato all’ANSA dal Karl-Heinz Grundboeck, portavoce del ministero dell’Interno austriaco. “La durata della proroga dipenderà dal comportamento degli altri Paesi”, aggiunge. Per il Brennero, i controlli che “verranno attivati in base alla necessità”. Tutto ciò rientra comunque nel quadro regolamentare di Schengen, chiarisce Grunboeck, sdrammatizzando le tesi più apocalittiche che già preannunciano la fine dell’Ue. Il piccolo paese alpino ha accolto nel 2015 90 mila richiedenti asilo, spiegano al ministero, e per il 2016 le stime sono ancora più elevate.

“La situazione è tesa”, aggiunge il portavoce per il quale “se nel settembre 2015 sono prevalse chiare ragioni umanitarie, oggi bisogna necessariamente ridurre il numero degli arrivi nei paesi di destinazione”. Toni anche più forti vengono usati dal ministro degli Esteri Sebastian Kurz, che a Bruxelles, ne ha avuto per tutti. Ha attaccato la Grecia, “poco disposta a lasciarsi aiutare” nella gestione della sicurezza delle frontiere esterne, facendo presente che non si arriverà a una soluzione europea, si dovrà “ricorrere a misure nazionali, o a un coordinamento fra pochi paesi dell’Ue”.

“Una possibilità sensata”, ad esempio, sarebbe potrebbe essere “una collaborazione fra Austria, Germania e Slovenia”. Kurz ha anche attaccato implicitamente Berlino: “È chiaro che politica dell’accoglienza e dell’invito non è la soluzione”. Lo stesso dice il leader dei socialdemocratici tedeschi Sigmar Gabriel, per il quale non può accadere che “la cancelliera inviti oltre un milione di profughi in Germania e poi la Cdu si tiri indietro di fronte al tema dell’integrazione”.

Merkel viene contestata anche dai suoi: la Csu bavarese torna a minacciare di portarla davanti alla Corte costituzionale alzando la pressione con un ultimatum per la virata sulle politiche di accoglienza, e 50 parlamentari della Cdu hanno firmato una lettera che sarà recapitata in cancelleria domani. È il sigillo del malumore dei conservatori per i risultati della gestione Merkel, e la richiesta di un cambio di marcia netto.

Ma la cancelliera non si scompone. No, no ha paura di perdere il posto, ha risposto a muso duro il portavoce Steffen Seibert a chi gli ha rivolto la domanda nella consueta conferenza stampa di governo. “Sta prendendo atto delle varie indicazioni ed è determinata a perseguire l’obiettivo di ridurre il numero degli ingressi in modo duraturo e sensibile”. Con loro i vertici del partito, che oggi hanno strigliato i dissidenti, invitando a non minare le prossime regionali, in programma in ben 3 Länder il 13 marzo. Sarà il primo vero test politico per Merkel sulle politiche sui profughi.

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