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Taiwan vuole accordo libero scambio con Usa

La presidente taiwanese Tsai Ing-wen KEYSTONE/EPA/RITCHIE B. TONGO sda-ats

(Keystone-ATS) Taiwan vuole avviare colloqui con gli Usa per “un accordo di libero scambio”, parte dello sforzo più ampio per rafforzare la partnership con Washington e per resistere alle crescenti pressioni di Pechino.

La presidente Tsai Ing-wen, parlando a un forum online organizzato dai think tank americani Hudson Institute e Center for American Progress, ha rimarcato che “Taiwan è diventata una democrazia a tutti gli effetti. I nostri 23 milioni di cittadini hanno il diritto di determinare il nostro futuro, che è l’antitesi della posizione che Pechino ha preso”.

Tsai, nel suo intevento, ha notato che l’avvio dei negoziati sul libero scambio con gli Stati Uniti sarebbe stato uno dei temi principali del suo secondo mandato al fine di consolidare i rapporti con Washington, tra i principali partner commerciali e fornitori di armi. La presidente non ha fornito una tempistica, ma in passato i tentativi si sono arenati sulle divergenze, ad esempio, nell’uso di additivi nella produzione americana di carne di maiale e manzo.

“Dobbiamo mantenere gli occhi puntati su come muoverci in avanti”, ha aggiunto la presidente, auspicando il superamento delle differenze. “Per troppo tempo, le relazioni commerciali più strette sono state ostacolate da tecnicalità che valgono appena per una frazione dei rapporti bilaterali”. L’obiettivo è di “lavorare insieme per risolvere queste questioni in un modo che vada bene per i consumatori e che sia in linea con gli standard scientifici stabiliti. Credo che la gente di Taiwan possa vedere il valore e la saggezza nel costruire relazioni economiche più strette con gli Stati Uniti e che gli Stati Unti riconoscano le implicazione strategiche che un simile accordo possa avere”.

Washington è il secondo partner di Taiwan con un interscambio di beni e servizi di circa 94,5 miliardi di dollari, in base ai dati nel 2018 del governo americano. Pechino ha aumentato la sua assertività verso l’isola, considerata una “provincia ribelle”, non escludendo l’uso della forza, se necessario, per raggiungere la riunificazione.

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