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Thailandia: lesa maestà, due condanne record per post Fb

(Keystone-ATS) Due condanne in un giorno, per un totale di 58 anni di reclusione. Il giro di vite della giunta militare thailandese contro i reati di lesa maestà ha portato oggi a due verdetti record per la loro severità.

Entrambi sono una punizione per aver osato pubblicare su Facebook dei messaggi considerati diffamatori verso la monarchia. La cui difesa, per i militari di Bangkok, sembra essere sempre più una priorità.

Il primo verdetto è stato emesso da una corte militare nella capitale, dove un fedelissimo dell’ex premier Thaksin Shinawatra è stato condannato a 30 anni per sei messaggi lesivi del re. La seconda sentenza – 28 anni – è stata invece emessa da un tribunale militare di Chiang Mai, nel nord, contro una madre di due bambini che ha sempre sostenuto di non interessarsi alla politica.

Entrambe le pene erano originariamente di entità doppia, 60 e 56 anni. Ma è prassi che il giudice sia “clemente” e dimezzi la pena se il condannato ammette la sua colpevolezza, una tattica che viene sempre più adottata dagli imputati per lesa maestà.

In un Paese dove l’adorazione per il re Bhumibol Adulyadej è letteralmente inserita nella Costituzione – e non solo nella nuova Carta in via di elaborazione da parte della giunta – il reato di lesa maestà esiste da decenni e comporta in teoria fino a 15 anni di reclusione.

Con il potere sempre più centralizzato nelle mani del premier Prayuth, qualsiasi espressione di dissenso viene stroncata sul nascere dalla giunta; recentemente, ha fatto rumore il caso di 14 studenti arrestati per aver osato inscenare una manifestazione pacifica a favore del ritorno alla democrazia: un’eventualità che non appare vicina.

Prayuth si pone come l’unico rimedio per una società sempre più divisa, ma lui stesso e l’intero establishment sembrano più che altro essere mossi dall’ossessione di tenere Thaksin – in auto-esilio dal 2008 e condannato in contumacia per corruzione – fuori dai giochi. Il tutto mentre il re Bhumibol (87 anni) è vittima di un progressivo indebolimento, e con all’orizzonte una successione che in patria rappresenta un tema tabù.

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