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Tregua a Gaza, cinque ore d’aria e di normalità

(Keystone-ATS) Da dieci giorni non sognavano altro: una tregua, anche temporanea, che permettesse di uscire di casa e di respirare una boccata d’aria senza l’incubo costante del fuoco israeliano. E oggi, alle dieci di mattina precise, con l’inizio di una tregua umanitaria richiesta dall’Onu, centinaia di migliaia di persone sono tornate ad invadere le strade di Gaza, per sfruttare al meglio i 300 minuti a loro disposizione.

Ma al termine della tregua i raid israeliani (e i lanci di razzi) sono ripresi con grande intensità. La lista delle vittime si è presto allungata, ed include adesso altri quattro bambini: tre bambini e una bimba di quattro anni.

La tregua umanitaria è stata una clessidra che si è svuotata velocemente. La gente di Gaza ha dovuto fare scelte crudeli. Tutti hanno dovuto stilare una graduatoria delle priorità: da completare entro le ore 15, quando non sarebbe stato più sicuro restare allo scoperto.

Nelle installazioni dell’Unrwa, l’ente delle Nazioni Unite per i profughi, dove da giorni sono accampati in condizioni miserevoli 20 mila sfollati dal Nord della Striscia, non ci sono state esitazioni. Molti si sono recati nelle loro abitazioni col cuore in gola, incerti se fossero ancora in piedi o se fosse stata danneggiata dai bombardamenti.

Una volta a casa, il primo sogno realizzato è stato quello della doccia. Da giorni erano sdraiati a terra, su pavimenti affollati di classi vuote, in giornate di un calore intollerabile. Poi hanno fatto le valige, condannati a tornare negli edifici dell’Unrwa perché le loro abitazioni restano in zone di combattimento. Secondo Israele, sono sistematicamente utilizzate per il lancio di razzi.

Agli ingressi delle banche si sono viste scene di ressa. In particolare i pubblici dipendenti dell’Autorità nazionale palestinese erano ansiosi di percepire il salario del mese scorso. Le code agli sportelli sono durate ben oltre lo scadere della tregua.

Ma la missione era troppo importante per essere abbandonata a metà. File di persone si sono viste anche alle casse automatiche, nelle stazioni di benzina, nei supermercati, nei mercati. Temevano che, con la guerra, i prezzi sarebbero saliti alle stelle: invece i commercianti non hanno cercato di speculare sulle difficoltà altrui.

C’era poi il fattore stanchezza. Dieci notti insonni lasciano pesanti tracce. Non pochi si sono abbandonati alla seduzione di bruciare i 300 minuti regalati dall’Onu con una bella dormita, senza sussulti. Altri dovevano visitare negli ospedali congiunti ed amici rimasti feriti nei giorni scorsi (i morti sono stimati in oltre 237, i feriti in 1750).

Le case rase al suolo a Gaza dall’aviazione israeliana sono centinaia. Molte altre sono state lesionate. La tregua ha fornito un’occasione attesa per verificare l’entità dei danni. Ma non solo. La famiglia al-Batsh (che ha avuto numerose vittime in questi combattimenti) ha avuto la casa distrutta e prima che fosse troppo tardi i sopravvissuti hanno passato le ore della tregua a setacciare le macerie alla ricerca di fotografie, di ricordi, di oggetti preziosi o di documenti.

Mentre la tregua umanitaria era in corso si è sparsa voce che forse un cessate il fuoco vero e proprio era a portata di mano. La felicità e il sollievo si sono subito dipinti sui volti della gente. Ma poco dopo sono giunte le docce fredde. La popolazione è allora tornata nelle case per affrontare un’altra giornata di bombardamenti e di difficoltà, senza che all’orizzonte si profilasse alcuna prospettiva.

E le notizie agghiacciati sono tornate, come era prevedibile, ad inseguirsi: tre bambini uccisi da un razzo a Sabra, una bambina uccisa a Khan Yunes. Ancora morti e feriti. E ancora spavento.

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