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Ucraina: sfida di Mosca, riconosceremo voto separatisti

(Keystone-ATS) La Russia torna a gettare benzina sul fuoco della crisi ucraina. A due giorni dalle elezioni del parlamento di Kiev che vedono in testa i partiti filo-occidentali del presidente Petro Poroshenko e del premier Arseni Iatseniuk, il capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov ha gelato tutti annunciando che Mosca riconoscerà i risultati delle elezioni parlamentari e presidenziali convocate per il 2 novembre dai filorussi nelle zone del sud-est sotto il loro controllo.

Alle parole del ministro di Putin, Poroshenko ha replicato seccamente per bocca di un suo portavoce tuonando che il voto separatista è una minaccia al processo di pace e che queste “pseudo-elezioni” non solo “non saranno mai riconosciute dal mondo civile” ma “non hanno niente a che vedere con il protocollo di Minsk”, che il 5 settembre ha portato a un fragile cessate il fuoco nel sud-est, anzi, “ne violano in modo rozzo lo spirito”.

E una ferma condanna è arrivata anche dal segretario di Stato Usa John Kerry, che dal Canada ha definito il riconoscimento delle elezioni dei filorussi “una chiara violazione degli impegni assunti” da parte di Mosca.

L’esatto contrario di quanto dichiarato da Lavrov, secondo cui il voto separatista serve a “legittimare le autorità” ribelli nel quadro degli accordi di Minsk.

In realtà l’intesa siglata in Bielorussia prevede una larga autonomia per il turbolento sud-est ed elezioni locali nell’ottica di un decentramento del potere, ma non dell’indipendenza da Kiev proclamata dai miliziani che la Russia è accusata di sostenere militarmente con armi e uomini. E per questo le autorità ucraine hanno accordato alla regione uno status speciale per tre anni e hanno fissato le elezioni locali per il 7 dicembre (e non per il 2 novembre).

La decisione del Cremlino di difendere il voto separatista rappresenta di per sé una novità perché – al contrario di quanto avvenuto nell’ormai russa Crimea – Mosca non ha riconosciuto formalmente i referendum per l’indipendenza organizzati a maggio dai ribelli delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e di Lugansk.

Intanto, mentre si attende il vertice sul metano di domani a Bruxelles per mettere fine alla guerra del gas tra Mosca e Kiev che – visto che dai metanodotti ucraini passa circa la metà del gas russo diretto in Europa – minaccia anche il Vecchio Continente, in Ucraina continua lo spoglio delle schede elettorali.

Le politiche di domenica hanno visto il trionfo dei partiti filo-occidentali, ma anche il Blocco di opposizione di Iuri Boiko, sorto dalle ceneri del partito delle Regioni del deposto presidente filorusso Viktor Ianukovich, è entrato in parlamento attestandosi sopra il 9% dei voti.

I partiti più votati sono il Blocco Poroshenko e il Fronte popolare di Iatseniuk (21-22%), mentre al terzo posto con l’11% delle preferenze c’è “Auto-aiuto”: il partito-rivelazione del sindaco di Leopoli Andrii Sadovii che raccoglie giovani attivisti della società civile, ma anche combattenti pro-Kiev del conflitto del sud-est.

Molti partiti hanno deciso di candidare militari e volontari in armi per assicurarsi più voti in quelle che sono state di fatto elezioni in tempo di guerra, ma i movimenti più estremisti e nazionalisti non hanno avuto successo, forse anche perché ricevevano molti voti in funzione anti-Ianukovich: i nazionalisti di Svoboda sono poco sotto la soglia di sbarramento del 5%, mentre gli estremisti di destra di Pravi Sektor non hanno ottenuto neanche la metà dei voti necessari per entrare in parlamento.

Anche il partito radicale del “populista col kalashnikov” Oleg Liashko ha disatteso le aspettative e ha raccolto circa il 7% dei voti, e non il 13% previsto dai sondaggi.

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