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Una May agonizzante al tavolo negoziale sulla Brexit

È un governo britannico neanche nato eppure già in agonia quello che si affaccia domani al negoziato con Bruxelles per il divorzio del Regno dall'Ue. KEYSTONE/AP PA sda-ats

(Keystone-ATS) È un governo britannico neanche nato eppure già in agonia quello che si affaccia domani all’appuntamento con la storia: l’avvio formale del negoziato con Bruxelles per il divorzio del Regno dall’Ue.

La premier Tory, Theresa May, pare si sia vista dare “i 10 giorni” dal suo partito, a leggere il Sunday Times, come fosse una domestica del tempo andato.

Di certo si presenta indebolita ai limiti del tracollo: azzoppata dal risultato boomerang del voto dell’8 giugno, dalla malcerta alleanza con la destra unionista nordirlandese, dalle risorgenti divisioni – nel Paese e tra i conservatori stessi – sulla natura della Brexit, ma soprattutto dall’immagine fallimentare riflessa nelle fiamme del disastroso incendio della Grenfell Tower, con gli almeno 58 ‘morti presunti’. Una catastrofe su cui, accusa il sindaco di Londra, Sadiq Khan, incombono come un macigno proprio “le negligenze” dell’esecutivo, a dispetto delle 5.500 sterline promesse ora a ciascuna famiglia coinvolta. E che, lungi dal poter essere archiviata come una fatalità, “si sarebbe potuta prevenire”.

Insomma un congiuntura nera, a cercare di scaricare la colpa sugli astri, per la donna che avrebbe voluto affrontare la partita della Brexit con l’Europa con piglio ferreo. E che invece manderà il suo ministro David Davis a fare la prima mossa col negoziatore francese Michel Barnier senza aver messo in cassaforte neppure il voto di fiducia: atteso mercoledì dopo il Queen’s Speech, il discorso in cui Elisabetta II leggerà il programma di governo aprendo la nuova sessione parlamentare.

Secondo la stampa dell’isola, è ormai lo stesso Partito Conservatore a essere in subbuglio. I passi falsi di lady Theresa – su cui pesa il paragone impietoso tracciato da Adam Bolton sul Times con la regina “nostra consolatrice in capo”, assai più attenta di lei alle sensibilità popolare dopo la ‘lezione’ dei giorni della morte della principessa Diana – sono stati troppi. E nel gruppo parlamentare sembra non si escluda più addirittura l’ipotesi d’una sfiducia immediata, se nel giro di dieci giorni o giù di lì il primo ministro “non riprenderà l’iniziativa”, come ammette anche il Telegraph, giornale amico.

Il progressista Guardian, da parte sua, riferisce ormai di “scontri accesi” nel medesimo consiglio dei ministri. Ma sono soprattutto i deputati ad agitarsi. Con lo zoccolo duro dei ‘brexiteers’ che pretende rinnovate garanzie su un’uscita dall’Ue senza compromessi, evocando altrimenti un passaggio di mano della leadership: col solito Boris Johnson in pole.

Sul fronte opposto, provano d’altronde a riemergere le ‘colombe’: in primis il cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, il quale in un’intervista ad Andrew Marr sulla Bbc difende il governo dalle accuse di aver rinviato nei mesi scorsi l’attuazione di nuove norme di sicurezza anti-incendio in edifici come la Grenfell Tower. Ma al contempo si smarca sulla Brexit (che i ‘falchi’ insistono a voler portare avanti a spron battuto, come dimostra l’annuncio della cancellazione del prossimo Queen’s Speech del 2018, quasi a evitare ‘intralci’ dal Parlamento), chiedendo semmai maggiore attenzione ai temi dell’economia e alle proteste della gente comune “stanca di tagli di spesa”.

Un sondaggio Survation certifica che fra i britannici cresce del resto la voglia di un divorzio “soft” dall’Europa e persino un capovolgimento sull’ipotesi, auspicata adesso da ben un 54%, d’un referendum bis fra due anni sull’accordo finale. Segnali a cui strizzano l’occhio i laburisti di Jeremy Corbyn. All’attacco su Grenfell Tower, dopo che la piazza ha preso di mira direttamente May, come pure sulla Brexit.

Il governo Tory, “indebolito e diviso”, non ha più l’autorità di negoziarla, taglia corto oggi Corbyn sul Mirror, offrendo in alternativa una ricetta targata Labour che mirerebbe a salvare per quanto possibile “i benefici del mercato unico e dell’unione doganale”. Pur nel quadro di “un’immigrazione regolata” e di “una libertà di movimento destinata a finire”.

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