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Vietnam: violenze e accuse, Pechino e Hanoi ai ferri corti

(Keystone-ATS) Almeno due cittadini cinesi sono stati uccisi in Vietnam nel corso delle proteste contro la decisione di Pechino di inviare una piattaforma per la ricerca petrolifera in una zona contesa del Mar Cinese Meridionale. I feriti sono un centinaio. Altre fonti parlano di una ventina di morti, la maggioranza dei quali sarebbero cinesi. Nuova Cina aggiunge che dieci operai cinesi sono dati per “dispersi” nel Vietnam centrale.

L’ agenzia precisa che uno dei cittadini cinesi è stato trovato morto all’interno della fabbrica di biciclette Foming Bicyle Parts nella provincia meridionale di Binh Duong, oltre 1200 km a sud della capitale Hanoi. L’ altro è stato ucciso nella provincia di Ha Tinh, 300 km a sud della capitale, in un’ indicazione che le violenze si sono spostate dal sud alle aree centrali del Vietnam. “I teppisti – ha dichiarato un dirigente della fabbrica – hanno attaccato quattro compagnie cinesi che stanno costruendo una fabbrica di ferro e acciaio grazie ad investimenti taiwanesi”.

“Gli attacchi sono proseguiti per tutto il giorno (di mercoledì)”, ha proseguito. Martedì era stato preso d’ assalto dalla folla anticinese il complesso industriale chiamato Vietnam Singapore Industrial Park, non lontano dalla metropoli di Ho Chi Minh City, dove fabbriche e uffici sono stati dati alle fiamme. A fare le spese della furia anti-cinese sono state soprattutto le compagnie taiwanesi che hanno spostato la loro produzione in Vietnam proprio dalla Cina, dove il costo del lavoro è cresciuto negli ultimi anni. Quelle coreane e giapponesi si sono salvate, hanno riferito testimoni, solo quando hanno esposto le bandiere dei loro Paesi. Circa 600 immigrati cinesi in Vietnam sono fuggiti nella vicina Cambogia, mentre Taiwan ha organizzato dei voli aerei speciali per riportare in patria i suoi cittadini. Cina, Taiwan ed Hong Kong hanno raccomandato di evitare i viaggi in Vietnam.

I rapporti tra Cina e Vietnam, entrambi Paesi dominati da un partito unico comunista, sono tesi da anni a causa della disputa sulle isole Paracelse, che Pechino strappò con un colpo di mano, nel 1974, all’allora Vietnam del Sud. La situazione è precipitata dopo che, il 2 maggio, la piattaforma petrolifera cinese, accompagnata da motovedette della guardia costiera, si è spostata nei pressi delle isole. Pochi giorni prima, il 29 aprile, si era conclusa una visita in Asia del presidente americano Barack Obama, che ha assicurato ai Paesi amici il sostegno degli Usa nelle dispute territoriali in corso. In seguito, si sono verificati numerosi scontri tra imbarcazioni cinesi e vietnamite, che in alcuni casi si sono affrontate a colpi di cannoni ad acqua. Una portavoce cinese, Hua Chunying del ministero degli esteri, ha accusato oggi Hanoi di essere “connivente con alcuni dei violenti”. La situazione nel Mar della Cina Meridionale – che i vietnamiti chiamano Mar Orientale – è esplosiva anche a causa delle dispute della Cina con Filippine, Malaysia e Brunei.

Ieri Manila ha accusato Pechino di aver violato il codice di condotta regionale, cominciando a costruire qualcosa, forse una pista di atterraggio, su una scogliera contesa. La Cina rivendica quasi tutto lo strategico specchio d’ acqua sulla base di una cartina che risale al 1953 nella quale è disegnato una sorta di ferro di cavallo chiamato “linea dei nove punti”, la cui genesi non è mai stata chiarita. La “linea” passa a poche migliaia dalle coste degli altri Paesi rivieraschi. Pechino ha in corso un’ altra aspra serrata polemica col Giappone nel Mar della Cina Orientale, dove rivendica la sovranità sulle isole Senkaku/Diaoyu, che sono sotto il controllo di Tokyo

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