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Votazioni: abolizione del servizio militare obbligatorio, chiaro no

(Keystone-ATS) Il risultato era nell’aria e i dati definitivi della consultazione popolare non lasciano adito a dubbi: ben il 73,2% dei votanti ha infatti respinto oggi l’iniziativa che chiedeva l’abolizione del servizio militare obbligatorio. Tutti i cantoni hanno detto di “no”, con percentuali che in buona parte del paese hanno raggiunto proporzioni bulgare. Niente esercito di soli volontari, quindi, e niente servizio civile facoltativo.

La mappa del voto su scala regionale mostra che 21 cantoni hanno espresso parere negativo con percentuali superiori al 70%. In testa Uri (85%), seguito da Nidvaldo (84,2%), Appenzello interno (pure 84,2%), Obvaldo e Svitto (entrambi con l’83,8%). Sopra la soglia dell’80% anche Glarona (82,1%) e Turgovia (80,7%). Tra i maggiori cantoni della Svizzera tedesca Zurigo ha detto di “no” nella misura del 71,4% e Berna nella proporzione del 75,3%. In Ticino i voti contrari hanno raggiunto il 72% e nei Grigioni il 77,1.

Un pochino più sensibile alle richieste dei promotori dell’iniziativa è risultata la Svizzera romanda: Ginevra ha respinto l’abolizione dell’obbligo di prestare servizio militare con “soltanto” il 57,9%, il Giura con il 58,6%. A Vaud (66,2%) e Neuchâtel (62,4%) è stata tuttavia ampiamente superata la soglia del 60%. A spoglio ultimato i voti contrari su scala svizzera sono stati 1’761’738 , quelli favorevoli 645’431. L’affluenza alle urne è stata del 46,8%.

Promotori delusi

Netta la delusione del Gruppo per una Svizzera senza esercito (GGsE): “non siamo sorpresi, perché l’esito della votazione era purtroppo prevedibile”, ha detto il portavoce del GSsE Nikolai Prawdzic. “A quanto sembra il mantenimento dell’obbligo di prestare sevizio militare appartiene alla coscienza svizzera” e non siamo riusciti a convincere la gente del contrario. Gli argomenti non mancavano “ma i sentimenti sono stati più forti dei fatti”.

Divergenze interne

Un problema è stato inoltre stato costituito dalle divergenze sorte all’interno delle forze di sinistra: alcuni sostenevano infatti che bisognava mettere in discussione non l’abolizione dell’obbligo di prestare servizio militare, ma bensì l’abolizione dell’esercito stesso. “Molti hanno inoltre espresso il timore che potesse andare perso il controllo democratico sulle forze armate”, ha detto Prawdzic.

Anche i Giovani Verdi e Gioventù socialista hanno fatto autocritica: “non siamo riusciti a portare i giovani alle urne”, ha spiegato la presidente della sezione giovanile degli ecologisti Lena Frank.

Il popolo ha fiducia nelle forze armate

Di parere diametralmente opposto il campo dei sostenitori dell’esercito di milizia: “l’esercito è profondamente ancorato nella popolazione svizzera”, ha detto il consigliere nazionale PPD Jakob Büchler (SG), presidente del comitato che si era schierato contro l’iniziativa abolizionista. Il lavoro e le spiegazioni del comitato hanno avuto successo. Il popolo, ha detto Büchler, ha fiducia nelle forze armate e sostiene l’attuale modello di difesa. La sicurezza è un bene prezioso e il comitato ha saputo dimostrare che un “sì” all’iniziativa “avrebbe provocato una reazione a catena, che a sua volta avrebbe condotto all’abolizione dell’esercito”.

Le riforme rimangono necessarie

L’iniziativa proposta dal GSsE ci ha fatto perdere due anni, ma le riflessioni su un ammodernamento dell’obbligo di leva devono proseguire: questa la reazione al voto odierno di Denis Froidevaux, presidente della Società svizzera degli ufficiali: “bisognerà in particolare chiedersi se il servizio militare debba aprirsi ad altri settori di attività, in particolare alle donne e agli stranieri”.

Darbellay: uno schiaffo per la sinistra

Tra i maggiori partiti politici svizzeri le reazioni sono state profilate. Il voto odierno dimostra “l’attaccamento degli svizzeri all’esercito di milizia”, ha commentato il presidente del PPD Christophe Darbellay. “C’è da sperare che questo schiaffo alla sinistra ci preserverà dagli attacchi del GSsE per i prossimi vent’anni”. La consultazione mostra che l’esercito rimane “un elemento di sicurezza indispensabile”. Ciò non significa che “l’attuale struttura delle forze armate vada scolpita nel marmo”. Sono necessarie riforme, in parte in fase di attuazione: “l’esercito deve adeguarsi ai rischi del momento”, ha affermato Darbellay.

L’UDC ha fatto sapere in un comunicato che il “no” massiccio all’abolizione del servizio militare obbligatorio è un passo “in favore di una Svizzera sicura e di una difesa nazionale credibile”. “Solo un esercito di milizia efficace è in grado di garantire la sovranità e la neutralità della Svizzera”. Sulla stessa linea il PBD: “l’esercito di volontari è e rimane un’illusione”.

“L’esercito è la sola struttura in grado di intervenire a livello nazionale in caso di crisi, catastrofi e conflitti. Il no dei votanti è un segnale forte in favore della difesa nazionale e dell’esercito di milizia”, ha indicato in una nota il PLR. “L’abolizione dell’obbligo di prestare servizio avrebbe danneggiato non solo l’esercito, ma anche la protezione e il servizio civile”.

PS: non è stata una vittoria

“Si tratta di una delusione, ma non di una sorpresa”. “L’esercito non mobilita più la popolazione”, ha spiegato il consigliere nazionale socialista Pierre-Alain Fridez (JU). Vista la facilità di farsi riformare “gli svizzeri si preoccupano meno del servizio militare rispetto al passato”. “Il voto non costituisce una vittoria per la sinistra”, secondo il PS che continuerà comunque a battersi per un esercito più piccolo e meglio adattato ai pericoli attuali quali il terrorismo e la cybercriminalità.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

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