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ZH: lasciò morire la sua neonata, condannata per infanticidio

Il Tribunale distrettuale di Horgen, nel canton Zurigo (foto d'archivio) KEYSTONE/SIGGI BUCHER sda-ats

(Keystone-ATS) Una 25enne che nel gennaio 2016 ha lasciato morire poco dopo il parto la sua neonata è stata giudicata colpevole di infanticidio. Il Tribunale distrettuale di Horgen (ZH) l’ha condannata oggi a 18 mesi di detenzione con la condizionale e a una multa di 500 franchi.

Il processo si è tenuto secondo la procedura abbreviata, visto che la donna era rea confessa e le parti hanno potuto accordarsi sulla colpevolezza e sulla pena. Ciò significa anche che contro la sentenza non sono possibili ricorsi in appello.

Stando all’atto d’accusa, il parto è avvenuto fra il 14 e il 15 gennaio 2016. La giovane donna, di professione infermiera, aveva nascosto la sua gravidanza a famigliari e conoscenti. Ha partorito da sola la bambina nel bagno dell’abitazione dei genitori, nel distretto di Horgen (ZH).

Dopo il parto, ha tagliato il cordone ombelicale ed ha deposto il corpicino in un secchio di plastica, senza preoccuparsi delle sue condizioni. L’autopsia ha stabilito che la bimba è nata viva, ma soffriva di una polmonite.

La neonata, nascosta in un armadio fra i vestiti e la biancheria da lavare, è deceduta “al più presto dopo 20 minuti, ma presumibilmente dopo diverse ore”, si legge ancora nell’atto d’accusa.

Arrivata in aula vestita di nero, l’accusata ha detto di non riuscire a spiegarsi l’accaduto. Ha inoltre dichiarato di avere interrotto nel novembre 2016 una terapia di tipo ambulatoriale, ma di essere pronta a riprenderla se il tribunale lo richiedesse. La corte ha in effetti ordinato una simile terapia.

L’infanticidio è una particolare fattispecie penale che prevede una pena detentiva massima di tre anni o una pena pecuniaria. Questo reato – da non confondere con altri casi di genitori che uccidono figli in tenera età – può essere applicato a una madre che uccide un neonato “durante il parto o finché si trova sotto l’influenza del puerperio” (art. 116 del Codice penale).

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