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Affrontare i fantasmi di Srebrenica

Una sopravvissuta di Srebrenica al cimitero memoriale di Potocari Keystone

A dieci anni di distanza dal massacro di Srebrenica, una cinquantina di sopravvissuti che oggi vivono in Svizzera tornano in Bosnia per commemorare l'eccidio.

Più di 8’000 uomini e ragazzi musulmani furono massacrati in seguito alla conquista della cittadina – che l’ONU aveva dichiarato zona protetta – da parte delle truppe serbobosniache.

L’undici luglio più di 50’000 persone tra autorità e parenti delle vittime sono attesi al memoriale di Potocari, situato nei pressi di Srebrenica, per commemorare il massacro e dare sepoltura ad altre centinaia di corpi ritrovati nelle fosse comuni delle vicine colline.

Il genocidio di Srebrenica è stato il capitolo più sanguinoso della guerra che ha scosso la Bosnia tra il 1992 e il 1995. Radovan Karadzic, all’epoca leader serbobosniaco e Ratko Mladic, comandante delle forze armate, sono stati incriminati dal Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, ma nessuno dei due è stato ancora catturato.

Fahrudin Salihovic, presidente dell’Associazione dei sopravvissuti Drina-Srebrenica, un tempo sindaco della cittadina bosniaca, confida a swissinfo che non passa giorno senza pensare a quanto è successo nel luglio del 1995.

«È impossibile per me dimenticare che durante cinque giorni dei vecchi e dei ragazzini sono stati barbaramente massacrati», racconta Salihovic che oggi vive a Ginevra. «I ricordi sono sempre presenti e si fanno più vivi soprattutto quando si avvicina l’anniversario dell’eccidio».

Salihovic, che non può recarsi alla cerimonia di commemorazione in Bosnia perché il suo permesso di soggiorno non gli consente di lasciare la Svizzera, è spiacente di non potere essere a Srebrenica accanto ad altri sopravvissuti.

Elaborare il lutto

Marc Walther, uno psichiatra di Losanna che ha lavorato con sopravvissuti di Srebrenica, è convinto che la cerimonia di lunedì in Bosnia sia un passo importante nel processo di elaborazione del lutto.

Walther ricorda che molti ritornano per la prima volta nei luoghi dell’eccidio, un avvenimento che «continua a pesare in modo indicibile su ciascuno di loro».

«Molti sopravvissuti vogliono affrontare il passato e testimoniare al mondo quanto è successo; altri andranno a Srebrenica per seppellire – fisicamente o simbolicamente – i cari che hanno perso».

Alla cerimonia non parteciperà la magistrata elvetica Carla Del Ponte. La scorsa settimana, la sua portavoce ha confermato che la procuratrice generale del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia (ICTY) non prenderà parte alle commemorazioni «fintanto che Karadzic e Mladic saranno a piede libero».

A più riprese Carla Del Ponte ha espresso la sua frustrazione per l’incapacità – o la mancanza di volontà – delle autorità preposte di assicurare alla giustizia i due principali indiziati per il massacro di Srebrenica.

Vergogna e disonore

«La signora Del Ponte non se la sente di guardare in faccia le vittime se Karadzic e Mladic continuano a godere dell’impunità dieci anni dopo essere stati incriminati dall’ICTY», afferma la portavoce Florence Hartmann. «È una vergogna e un disonore che i due principali responsabili del genocidio di Srebrenica non siano ancora stati arrestati».

Fahrudin Salihovic concorda con questo modo di vedere le cose e spera sinceramente che Mladic, Karadzic e «gli altri presunti criminali di guerra» compaiano un giorno davanti al Tribunale internazionale dell’Aja.

In occasione dell’anniversario, il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) rinnova i suoi sforzi per stabilire la sorte dei più di 14’500 persone date per disperse in seguito al conflitto. Nella sola area di Srebrenica i dispersi sono più di 5’500.

«Il diritto delle famiglie di sapere che ne è stato dei loro cari – sancito dal diritto umanitario internazionale – deve essere mantenuto in vigore e rispettato», si legge in una dichiarazione del CICR.

Aiutare i rifugiati

A Srebrenica, qualche giorno prima della commemorazione ufficiale, si sono recate anche nove consigliere nazionali. «Non avevo capito cosa significasse vivere una guerra civile e un genocidio», ha dichiarato la parlamentare Chiara Simoneschi-Cortesi al termine del viaggio.

«Non so se abbiamo prestato sufficiente attenzione ai sopravvissuti rifugiati in Svizzera», ha aggiunto. «Ma se non ci sono possibilità di trovare un’occupazione, mi domando perché rimpatriarli».

Particolarmente toccante l’incontro con una donna che ha perso dieci uomini della sua famiglia, di cui solo due hanno ricevuto sepoltura. «Abbiamo capito cosa significa per questa gente l’undici di luglio e ritornare nelle loro case di allora», ha dichiarato Chiara Simoneschi-Cortesi.

swissinfo, Adam Beaumont
(adattamento, Doris Lucini)

11 luglio 1995: Le truppe serbobosniache superano un drappello di caschi blu olandesi e prendono il controllo di Srebrenica dove migliaia di civili avevano cercato rifugio. Srebrenica era stata dichiarata zona protetta dall’ONU.
12 luglio: si cominciano a separare i maschi tra i 12 e i 65 anni dal resto della popolazione. Diverse migliaia di altri uomini, militari, ma anche civili, fuggono dall’enclave prendendo la cosiddetta «via della morte».
13 luglio: ha luogo il primo massacro di musulmani disarmati. Le vittime vengono gettate in fosse comuni.

Tra il 1992 e il 1955 la Bosnia Erzegovina è stata teatro di un conflitto etnico tra bosniaci musulmani, croati e serbi, in cui hanno perso la vita 250’000 persone.

Due milioni di persone sono state costrette a sfollare. 10’000 rifugiati hanno raggiunto la Svizzera.

Oggi la Bosnia Erzegovina, proprio per i problemi seguiti alla guerra, è uno dei paesi prioritari della politica estera svizzera.

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