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Nuovo crollo per borse cinesi, ma Europa e Usa tengono

(Keystone-ATS) Ancora una tempesta sulle Borse cinesi, ma questa volta i venti di crisi contagiano solo parzialmente il resto dell’Asia e quasi per nulla i listini occidentali.

Per un semplice motivo: i capitali dei grandi investitori stanno lasciando in modo sempre più massiccio i mercati come quello della Cina per concentrarsi su quelli più sicuri, a partire dagli Stati Uniti che potrebbero proseguire nel rialzo dei tassi.

Le continue contraddizioni del governo di Pechino in questa crisi finanziaria non aiutano e nella prima seduta della settimana le Borse cinesi sono nuovamente crollate, con Shanghai che ha ceduto il 5,3% e Shenzhen oltre il 6%. In particolare non avrebbe fatto bene ai mercati l’ondeggiamento delle autorità cinesi che prima hanno stabilito come i listini andassero chiusi con perdite oltre il 5%, per poi annunciare la cancellazione del provvedimento e infine rinnovarlo per tre mesi.

Risultato: con l’economia del gigante asiatico che rallenta la sua corsa, i capitali si spostano in luoghi più affidabili. Gli operatori attendono l’apertura di Tokyo, chiusa il primo giorno della settimana per festività locale, in quanto potrebbe essere uno dei lidi preferiti dagli investitori nell’area. E se Hong Kong è andata ovviamente male (-2,7%) perché strettamente legata alla Cina, sia Seul sia Singapore hanno limitato le perdite a poco più di un punto percentuale.

Ancor meno spaventati i listini europei, tutti in calo al di sotto dell’1% e Amsterdam addirittura positiva di qualche frazione di punto. Andamento simile per tutta la prima parte della seduta per Wall street, con qualche tensione che comincia a vedersi sui titoli di Stato europei, che in avvio di settimana hanno registrato un rialzo generale dei tassi d’interesse, con il Btp a 10 anni che sul mercato telematico ha chiuso in aumento di quasi sei punti base, il corrispettivo spagnolo salito di nove e anche il Bund tedesco in leggera crescita.

Più che la Cina, in queste ore quello che pesa è ancora la debolezza del prezzo del petrolio, vicino ai minimi degli ultimi 12 anni, che sta trascinando al ribasso tutto il settore delle materie prime. Morgan Stanley non esclude uno scivolone del Brent fino a 20 dollari al barile, mentre Bank of America ha tagliato le stime 2016 da 50 a 46 dollari, con Société Générale che le ha abbassate di oltre 11 dollari a quota 42,5.

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