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Attacco al sistema fiscale svizzero

Keystone

Riuniti martedì a Parigi su iniziativa di Francia e Germania, 17 paesi dell'OCSE hanno dichiarato guerra ai paradisi fiscali. Sotto tiro anche la Svizzera, accusata di «non cooperare». Il governo elvetico respinge le accuse.

In un contesto di crisi finanziaria internazionale, l’assenza dei rappresentanti di due paesi – ritenuti veri e propri paradisi fiscali – ha scatenato l’ira dei partecipanti alla conferenza. Svizzera e Lussemburgo, così come Austria, Stati Uniti e Canada, avevano infatti declinato l’invito congiunto dei ministri delle finanze francese e tedesco.

Berna ha giustificato la sua assenza spiegando di riconoscere soltanto l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) quale organo per le questioni fiscali internazionali.

«Questa riunione non è stata organizzata sotto l’egida dell’OCSE», ha precisato l’ambasciata elvetica a Parigi, «senza contare che Berna non avrebbe potuto sottostare a conclusioni che vanno oltre l’intesa raggiunta finora».

All’indomani della conferenza, il governo svizzero non ha nascosto la sua irritazione per i commenti dei ministri delle finanze di Francia e Germania sul sistema fiscale e sul segreto bancario elvetici. L’ambasciatore tedesco a Berna sarà convocato dalla ministra degli esteri per chiarimenti.

Pecora nera

Gli intervenuti a Parigi non hanno gradito l’assenza della Confederazione. «La Svizzera dovrebbe figurare sulla lista nera» degli stati non cooperativi in ambito fiscale, ha ammonito il ministro delle finanze tedesco Peer Steinbrück.

Un elenco che viene rivisto ogni anno dall’OCSE e che include attualmente tre dei quaranta paesi censiti come paradisi fiscali: Andorra, Liechtenstein e Principato di Monaco. Dal canto suo la Svizzera, assieme ad altri 34 paesi, si è impegnata a garantire più trasparenza, nel rispetto delle normative internazionali. Un impegno giudicato tuttavia insufficiente da più parti.

Secondo i parametri dell’OCSE, la Svizzera rientra tra i paesi dal «segreto bancario eccessivo». «Un segreto bancario che ha trovato i suoi limiti», secondo il ministro francese Eric Woerth. «La Svizzera ha fatto progressi (…), ma dobbiamo andare molto più lontano».

Sotto tiro dunque anche il sistema elvetico, introdotto nel 1934 per proteggere la sfera personale dei depositari di fondi e salvaguardare gli interessi delle banche svizzere, messe sotto pressione da Francia e Germania. Le informazioni sui clienti non possono essere divulgate in caso di procedura penale.

Solo in casi eccezionali (per esempio in relazione ai reati di riciclaggio o terrorismo) il segreto bancario può essere revocato. L’evasione fiscale non rientra però fra queste eccezioni.

Sovranità a rischio?

L’evasione fiscale è un tema scottante per la Germania, confrontata lo scorso febbraio con il caso «Liechtenstein», paese in cui 1’400 contribuenti tedeschi avevano nascosto al fisco i loro averi.

Non a caso, uno degli attacchi sferrati alla Svizzera al termine della riunione è venuto da Peer Steinbrück, ministro tedesco delle finanze. Steinbrück ha tuttavia cercato di salvaguardare le relazioni diplomatiche tra i due paesi, dicendo di «non rimettere in questione la sovranità della Svizzera o del Liechtenstein». Il problema è che «è la sovranità della Repubblica federale tedesca ad essere minacciata dalle condizioni offerte da determinati paesi».

Oltre agli aspetti di politica interna, la lotta contro i paradisi fiscali è diventata in qualche settimana uno dei temi citati per provare la necessità di un ripensamento del sistema finanziario.

Vacche magre

Già il 14 ottobre, il primo ministro François Fillon aveva affermato davanti ai membri del parlamento francese che «dei buchi neri come i centri off shore non devono più esistere. La loro scomparsa deve preludere a un ripensamento del sistema finanziario internazionale».

Per salvare i loro istituti finanziari, messi in pericolo da un sistema in crisi, gli stati sono costretti ad interventi miliardari. La Francia, ad esempio, ha sbloccato 360 miliardi di euro per fluidificare il sistema finanziario e la settimana scorsa ha iniettato 10,5 miliardi di euro in sei grandi banche private francesi.

Ma questi capitali non sarebbero che una goccia d’acqua rispetto alle somme finite nei paradisi fiscali e, quindi, sottratte allo stato. Stando alla sezione francese di Transparency International, un’organizzazione non governativa che prende di mira la corruzione, le cifre sono da capogiro: «Più di 4’000 banche, due terzi dei 2’000 hedge funds esistenti [fondi speculativi, ndr.] e due milioni circa di società ombra vi hanno sede [nei paradisi fiscali, ndt.]. In base alle ultime informazioni disponibili gestirebbero attivi finanziari nell’ordine di 10’000 miliardi».

In tempi di vacche magre per i conti pubblici, queste migliaia di miliardi di euro di guadagni perduti diventano un ottimo motivo per accelerare la lotta ai paradisi fiscali.

swissinfo, Aurélie Boris, Parigi
(traduzione, Stefania Summermatter e Doris Lucini)

Il Consiglio federale si è detto sorpreso e stizzito dalle dichiarazioni del ministro delle finanze tedesco Peer Steinbrück, che martedì ha proposto di inserire la Svizzera nella «lista nera» dei paradisi fiscali stilata dall’OCSE. Il governo ha incaricato la ministra degli esteri Calmy-Rey di convocare l’ambasciatore di Gemania.

Dal canto suo, l’ambasciatore tedesco in Svizzera ha auspicato che i due paesi – uniti da stretti legami – possano trovare una soluzione comune in merito alla questione, resa particolarmente delicata dall’attuale crisi finanziaria.

Nella vertenza fiscale in atto con l’Unione Europea e l’OCSE, il governo ha più volte ribadito che la Svizzera non è un’oasi fiscale e che non vi è alcuna necessità di intervenire sul segreto bancario elvetico.

Anche l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) ritiene i rimproveri ingiustificati. «Esistono convenzioni sulla doppia imposizione fiscale con una sessantina di paesi, anche con la Germania», ha puntualizzato il presidente Urs Philipp Roth. «Forniamo tutte le informazioni necessarie, comprese quelle sulla frode fiscale».

2000-2004: l’OCSE inserisce la Svizzera in una lista di paesi dalla politica fiscale potenzialmente dannosa. Dopo concessioni in merito all’imposizione delle holding, la Svizzera viene stralciata dalla lista.

2001-2005: contenzioso con l’Unione europea in merito alla tassazione dei risparmi. L’approvazione del secondo pacchetto di accordi bilaterali mette fine alle discussioni.

Dal 2005: l’Unione europea mette in discussione i privilegi fiscali accordati da alcuni cantoni alle imprese sostenendo che violano l’accordo di libero scambio del 1972. La Svizzera è di parere contrario.

2008: in seguito al conflitto fiscale tra la Germania e il Liechtenstein, diversi politici tedeschi intensificano gli attacchi contro il segreto bancario e i paradisi fiscali «come la Svizzera».

L’OCSE definisce i paradisi fiscali attraverso quattro criteri: assenza o insignificanza della fiscalità; trasparenza; leggi o pratiche amministrative che ostacolano lo scambio d’informazioni; sostanzialità (effettiva esistenza) delle attività dei contribuenti.

Sull’attuale lista nera dei paradisi fiscali «non cooperativi», l’OCSE ha inserito tre nomi: Andorra, Monaco e Liechtenstein. Sono detti «non cooperativi» perché non rispondono al criterio di trasparenza.

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