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La firma del ferro

Le perdite di ferro nell'organismo vengono compensate tramite l'alimentazione Keystone Archive

Una tecnica messa a punto in Svizzera permette di rivelare le abitudini alimentari degli individui, analizzando il ferro contenuto nel sangue e nei tessuti muscolari.

“Siamo quello che mangiamo” non è soltanto un modo di dire: le abitudini alimentari di una persona lasciano una traccia nella composizione chimica del suo sangue e dei suoi tessuti muscolari, una traccia che oggi gli scienziati sono in grado di interpretare.

Ferro leggero e ferro pesante

Il ferro, un elemento indispensabile per la nostra sopravvivenza, è presente in natura e nel nostro corpo sotto forma di due isotopi, due atomi di peso differente, il ferro-54 e il ferro-56.

Ricercatori del Politecnico di Zurigo e dell’Università di Berna hanno messo a punto una sofisticata tecnica, che permette di stabilire la concentrazione relativa di ferro leggero e ferro pesante nel sangue e nei tessuti muscolari di una persona, e confrontarla con quella dei più comuni alimenti di origine vegetale e animale per determinare a grandi linee le sue abitudini alimentari.

Il corpo di un uomo contiene in media 3,8 grammi di ferro, quello di una donna 2,3 grammi. Il metallo serve a trasportare l’ossigeno nel flusso sanguigno e immagazzinarlo nei tessuti muscolari. Ogni giorno, un adulto sano ne perde circa un milligrammo, che l’organismo rimpiazza attraverso l’alimentazione.

Spettroscopia di massa

A lungo andare, la percentuale relativa di ferro-54 e ferro-56 nel nostro sangue e nei muscoli riflette quella dei nostri cibi abituali, spiegano Thomas Walczyk e Friedhelm von Blanckenburg, i due autori dello studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Science.

I ricercatori svizzeri si sono serviti della spettroscopia di massa, un metodo estremamente preciso che permette di pesare gli atomi di tutti gli elementi chimici presenti in un campione. Hanno misurato così la percentuale relativa degli isotopi di ferro nel sangue e nei tessuti di uomini e donne e nei più comuni alimenti: vegetali, frutti di mare, gamberi, pesci, carne di bovino, di suino e di pollo e uova.

Questa tecnica, spiegano i due scienziati, ha potenziali applicazioni in campo medico e in campo paleoantropologico. Può servire, infatti, a diagnosticare un disturbo dell’assorbimento del ferro nelle persone che soffrono di anemia. E i paleoantropologi potranno determinare le abitudini alimentari di uomini e donne del passato analizzando i loro resti.

Maria Cristina Valsecchi

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